In
sintesi, “avvicinando i bambini all'arte, essi ricevono una forte
gratificazione perché scoprono che il loro mondo magico, come quello
reale degli adulti, esiste effettivamente ed è rappresentato da qui
personaggi importanti che sono gli artisti”.
lunedì 8 settembre 2014
La
capacità di un bambino e che solo l'artista incontaminato dalla
realtà può avere è quella di stupirsi di fronte a tutte le cose
della vita e guardare tutto ciò che ci circonda cogliendo colori ed
emozioni per poi trasmetterli in modo duraturo attraverso le proprie
opere. A livello artistico dunque le emozioni vengono trasmesse
attraverso quadri e disegni in cui sono raffigurate forme e linee
semplici ma dai colori sgargianti che riproducono immagini reali,
eventi o vicende vissute in tutta la loro semplicità.
Il modo di dipingere dei bambini, si riscontra anche in alcuni pittori
dell'epoca moderna che, “partendo dal realismo ottocentesco hanno
poi attuato progressive semplificazioni e astrazioni alla loro
pittura realistica svincolandosi sempre di più dalle regole
artistiche e dalle convenzioni culturali, per arrivare a
riconsiderare il mondo come appare nei prima anni di vita, quando
ogni cosa è nuova e tutto genera stupore e meraviglia. “Insomma,
l'artista si è man mano spogliato della propria cultura,
abbandonando quelli che sono stati per secoli gli strumenti del suo
mestiere, per raggiungere una semplicità che considera primordiale.
Questa trasformazione artistica è ben espressa una celebre frase di
Pablo Picasso il quale afferma che “Una volta disegnavo come
Raffaello, ma mi ci è voluta una vita intera per disegnare come i
bambini”.
venerdì 5 settembre 2014
Organizzazione del Laboratorio
L'atelier
di creatività è un ambiente presente all'interno della Nido,
ubicato in un posto isolato e tranquillo dove il bambino può
respirare un'aria e un clima di pace e serenità. Un' aspetto molto
importante da non sottovalutare e da salvaguardare, è relativo alla
sua organizzazione che riguarda tre aspetti fondamentali:
sistemazione dello spazio, arredamento e i materiali.
Per quanto riguarda lo spazio, il laboratorio deve
essere un ambiente abbastanza grande e luminoso in modo tale da
permettere ai bambini di lavorare autonomamente senza intralciarsi o
disturbarsi l'uno con l'altro. Perché ciò avvenga, è inoltre
necessario che ogni materiale sia al suo posto e che venga riordinato
ogni volta alla fine dell'attività. Solo in questo modo in momenti
successivi, l'insegnante e gli alunni potranno trovare gli strumenti
necessari all'attività con molta facilità È quindi necessario
disporre di:
- un armadio con dei ripiani e non troppo alto in
modo da rendere visibili gli strumenti che contiene. Ovviamente
tutti gli strumenti che vengono maggiormente usati dai bambini devono
essere riposati nei piani più bassi in modo tale che ciascuno sia
autonomo nel prenderli. Ad esempio verranno messi le matite colorate,
i pennarelli, fogli bianchi per disegnare.... Utile sarebbe anche
utilizzare delle scatole per categorizzare il materiale con delle
apposite etichette rendendo così tutto più ordinato e facile da
trovare in caso di bisogno;
- lavagna appesa alla parete utilizzata per
disegnare ed eventualmente annotare frasi che i bambini esprimono
durante l'attività;
- alcune mensole necessarie per appoggiare oggetti
come libri e giocattoli;
- tavoli sufficientemente grandi e a misura di
bambino;
- sedie a misura di bambino;
- pannelli cioè fogli di compensato di betulla
che possono servire per svolgere attività di pittura verticale;
- scatolone di cartone per riporre ulteriore
materiale rendendo la stanza ordinata;
- tappeto di plastica morbida che potrà essere
utile per fare una piccole mostra dei lavori dei bambini oppure
utilizzato per sedersi in cerchio a discutere o per rilassarsi.
Quindi l'organizzazione del laboratorio deve
essere rigorosa e chiara senza subire modificazione perché solo così
consente al bambino di capire la funzione dei vari oggetti, e dello
spazio stesso, e quindi ne facilita un suo corretto uso.
In
sintesi l'idea chiave è che il laboratorio, per favorire processi
creativi autonomi, deve essere organizzato in modo tale da rispondere
ai tempi di ciascun bambino ed essere coerente con il progetto e le
sue finalità presentando solo i materiali necessari per un suo
corretto svolgimento. Solo in questo modo i bambini potranno
stabilire un rapporto di sicurezza e di serenità nei confronti dello
spazio ed un legame molto forte con l'insegnante che diventa dunque
un riferimento nella loro vita e molto spesso l'unico a cui riescono,
superando ogni inibizione, ad esprimere le loro emozioni e tensioni.
Nascita di una nuova figura: l'atelierista
Con la nascita degli atelier, nasce anche una nuova figura professionale la cui competenza è l'arte. Essa
viene definita atelierista , opera all'interno del laboratorio ed è
spesso un artista di formazione che proviene dal liceo artistico.
Insieme ad educatori, insegnanti ed altre figure
professionali, l'atelierista è chiamata a collaborare per la
realizzazione del progetto educativo utilizzando strumenti e
linguaggi dell'arte per l'attuazione di un metodo di apprendimento
basato sulla ricerca, la pratica e la soggettività.
Non è quindi una figura isolata e staccata dal
resto del nido, ma, lavora a specchio con l'insegnante, imparando
l'una dall'altra e dai bambini stessi, dando vita a momenti di
scambio reciproco, valorizzazione e arricchimento personale.
Esse cercano assieme le strade di una nuova
didattica dove il linguaggio visivo viene intrecciato ad altri
linguaggi costruendo mappe di conoscenza del bambino e
dell'insegnante stessa. Propone ed offre materiali e tecniche
artistiche che rendono attive le mani e la testa per sviluppare
processi immaginativi, creativi ed espressivi che sono in relazione
con i processi cognitivi considerando non tanto il risultato finale,
cioè il prodotto che ogni bambino realizza, ma il processo di
apprendimento e il percorso che ogni bambino mette in pratica per
raggiungere il suo obiettivo.
Questi momenti creativi proposti dell'
atelierista all'interno del laboratorio, vengono svolti sia a livello
individuale che collettivo e ciò permette di capire come una della
sue funzioni sia anche quella di promuovere un lavoro di gruppo che
anziché separare, unisce i bambini all'interno di uno spazio
relazionale in cui ciascuno apprendere insieme all'altro attraverso
il “fare” e il “rifare”. L'atelierista inoltre deve
affiancare i bambini durante lo svolgimento del laboratorio gestendo
eventuali tensioni cognitive e relazionali che possono emergere e
cogliere idee e interessi necessari per realizzare poi una nuova
attività di gruppo. Il laboratorio infatti parte sempre dalle storie
soggettive e dai vissuti personali di ciascuno, cosicché la
prodzione-ricerca che si attua al suo interno, è sempre una ricerca
autobiografica e tutti i lavori prodotti, divengono una testimonianza
della propria identità. Infine, l'atelierista, deve porsi anche come
punto di riferimento per i bambini dando loro sicurezza e
tranquillità, ma allo stesso tempo deve stimolarli senza impedimenti
o forzature attraverso tutte le sperimentazioni, tecniche ed
espressive di cui essa dispone.
Invece il cento c'è
Il
bambino
è fatto di cento.
Il bambino
ha cento lingue
cento mani
cento pensieri
cento modi di pensare
di giocare e di parlare
cento sempre cento
modi di ascoltare
di stupire di amare
cento allegrie
per cantare e capire
cento mondi
da scoprire
cento mondi
da inventare
cento mondi
da sognare.
Il bambino ha
cento lingue
(e poi cento cento cento)
ma gliene rubano novantanove.
La scuola e la cultura
gli separano la testa dal corpo.
Gli dicono:
di pensare senza mani
di fare senza testa
di ascoltare e di non parlare
di capire senza allegrie
di amare e di stupirsi
solo a Pasqua e a Natale.
Gli dicono:
di scoprire il mondo che già c'è
e di cento
gliene rubano novantanove.
Gli dicono:
che il gioco e il lavoro
la realtà e la fantasia
la scienza e l'immaginazione
il cielo e la terra
la ragione e il sogno
sono cose
che non stanno insieme.
gli dicono insomma
che il cento non c'è.
Il bambino dice:
invece il cento c'è.
Loris Malaguzzi
è fatto di cento.
Il bambino
ha cento lingue
cento mani
cento pensieri
cento modi di pensare
di giocare e di parlare
cento sempre cento
modi di ascoltare
di stupire di amare
cento allegrie
per cantare e capire
cento mondi
da scoprire
cento mondi
da inventare
cento mondi
da sognare.
Il bambino ha
cento lingue
(e poi cento cento cento)
ma gliene rubano novantanove.
La scuola e la cultura
gli separano la testa dal corpo.
Gli dicono:
di pensare senza mani
di fare senza testa
di ascoltare e di non parlare
di capire senza allegrie
di amare e di stupirsi
solo a Pasqua e a Natale.
Gli dicono:
di scoprire il mondo che già c'è
e di cento
gliene rubano novantanove.
Gli dicono:
che il gioco e il lavoro
la realtà e la fantasia
la scienza e l'immaginazione
il cielo e la terra
la ragione e il sogno
sono cose
che non stanno insieme.
gli dicono insomma
che il cento non c'è.
Il bambino dice:
invece il cento c'è.
Loris Malaguzzi
In questa sua poesia Malaguzzi esorta gli adulti a
riconoscere e dar valore a tutte le diverse forme di espressione e di
comunicazione che i bambini attuano, incluse quelle più difficili da
comprendere. Quindi, nell'approccio reggiano, il verbo corretto da
utilizzare è ascoltare; ascoltare
il bambino che viene visto in modo attivo e non passivo e che
significa non solo comprendere i diversi modi con cui il bambino
comunica, ma anche dare senso e significato al messaggio e valore al
soggetto che lo trasmette.
Come dice Carla Rinaldi: "se
crediamo che i bambini sono attivi protagonisti nel processo di
costruzione della conoscenza, allora il verbo più importante nella
pratica educativa non è più parlare, ma ascoltare. Ascoltare
significa essere aperto a quel che gli altri hanno da dire, ascoltare
i cento o più linguaggi, con tutti i nostri sensi. Ascoltare
significa essere aperti alle differenze e riconoscere il valore di
diversi punti di vista e delle interpretazioni degli altri”.
L'atelier: un laboratorio dove far crescere immaginazione, creatività e fantasia
Per dare al bambino la possibilità di esprimere la sua creatività, è necessario, predisporre di uno spazio adeguato in cui il bambino si sente libero e sicuro di sperimentare questa sua dimensione fantastica. Ecco perché l'importanza degli atelier o laboratori all'interno delle strutture educative.
Si tratta di laboratori dove il bambino può
esprimere il suo linguaggio grafico, pittorico e visivo come
strumento di conoscenza della realtà e di sé a livello interiore e
più profondo.
Si superano così i tradizionali metodi di una
scuola assistenziale centrata sulla “parola” per dare
importanza al “fare” del bambino rendendo attive le mani,
la testa e le emozioni e allo stesso tempo valorizzando
l'espressività e la creatività di ciascuno. Il fare è azione
concreta, è sporcarsi e , proprio per questo, valorizza il bambino
come soggetto attivo con delle proprie capacità, competenze e
abilità che può mettere in pratica all'interno dell'atelier, perché
è qui che si fanno imprese ed esperimenti. Il laboratorio è
pertanto quel luogo materiale in cui si respira il piacere del fare.
A tal proposito Malaguzzi definisce i bambini come dei piccoli
“costruttori, cioè bambini che
non si possono considerare come recipienti o oggetti passivi di
diverse influenze, capaci invece di costruire oggetti, fantasie,
immagini, pensieri, conoscenze solo se si permette agli occhi, al
linguaggio, alla mente di lavorare”.
L'Atelier diventa quindi il luogo della
creatività, dell'invenzione e della fantasia che si esprimono
attraverso i “100 linguaggi”, poiché i bambini non comunicano
solo attraverso la parola, ma anche e soprattutto attraverso i loro
disegni pieni di pensieri, parole, sentimenti, emozioni...che
realizzano come se fossero dei piccoli artisti. Ciascuno infatti ha
il diritto e la possibilità di esprimere in maniera personale e
autonoma le proprie sensazioni, le gioie, le paure, le idee e le
tensioni attraverso l'utilizzo di molteplici linguaggi rispettando le
diverse identità, individualità, i sentimenti e le capacità di
ciascuno.
Quindi è necessario costruire una situazione dove
il bambino sperimenti e verifichi queste sue capacità artistiche
nella più ampia serenità e tranquillità.
È infatti indispensabile, perché il processo
espressivo possa mettersi in atto, che il bambino si senta capito e
rispettato nei suoi sentimenti, nelle sue tensioni ed emozioni, nei
suoi tempi di lavoro all'interno di un ambiente amico e accogliente,
dove tutti esplorano e provano in una situazione di confronto senza
paura dell'errore.
Importante è anche rendere visibile ciò che il
bambino fa e quindi l'atelier realizza la documentazione visiva dei
diversi lavori di ciascuno, attraverso distinti materiali quali
registrazioni, fotografie, videocamera... al fine di rendere visibile
l'immagine complessa del bambino e le sue grandi potenzialità. In
questo modo si dà più importanza al processo rispetto al prodotto,
ritenendo che il percorso sia la parte più interessante da
analizzare perché è qui che si scopre la creatività.
L'atelier quindi è quel luogo in cui tutte le
sensazioni, i vissuti, le paure, i timore, le idee, i
sentimenti...possono trovare la loro massima espressione e dove la
strutturazione dello spazio e dei materiali deve essere salvaguardata
per favorire momenti di espressione autonoma e individuale.
In questo modo si creano le condizioni affinché
ciascuno possa sperimentare con sicurezza e serenità segni, forme e
colori trasferendo ad ogni singolo prodotto una parte del proprio
vissuto personale.
Per concludere, si può affermare che l' atelier è
lo spazio pensato e progettato per i cento linguaggi dei bambini.
Queste forme di comunicazione possono svilupparsi ed essere
condivise attraverso esperienze creative concrete sia a livello
individuale che di gruppo, tenendo presente che Cento linguaggi è “
la ricchezza infinita delle potenzialità dei bambini, della loro
capacità di stupirsi e di ricercare. Cento linguaggi è la pluralità
degli sguardi e dei punti di vista”.
mercoledì 3 settembre 2014
Inoltre, ciò che accomuna bambini e
artisti è la capacità nel vedere le cose e a stupirsi di fronte ad
esse. Non tutti sanno “vedere”, molti solo “guardano”, ma lo
stupore nasce solamente nel momento in cui si vede e non quando si
guarda, poiché vedere è diverso da guardare, come ben spiega Paul
Cézanne:
“per
fare il pittore bisogna sape vedere. Non è così semplice come può
sembrare: molto spesso ci limitiamo a guardare, mentre vedere è una
cosa molto più interessante. Per fare un esempio, andiamo in
cucina. Possiamo imbatterci in tre mele o in una testa d'aglio
oppure in un mucchietto di patate. A guardarle non dicono molto. Ma
a ben vedere ci sono tante cose da notare: proviamo a pensare di
metterci nei panni di un alieno o, meglio ancora, di un bambino
piccolo. Nei panni di chi non ha mai visto nulla. Bambini e artisti
sono categorie molto vicine: lo stupore di un bambino, che deve
conoscere il mondo, è molto simile allo stupore di un'artista che
vuole conoscerlo o smettere di ri-conoscerlo. Cosa significa: quando
noi guardiamo una mela sappiamo già di che si tratta. Un bambino
piccolo non sa ancora cos'è. Allora la annusa, la morde, la tocca,
la inventa da capo giocando come se fosse una piccola casa, abitata
da chissà chi. Il lavoro di un artista consiste nel liberarsi (con
più o meno fatica) da tutto quello che già conosce e riuscire a
vedere lo stupore della realtà”.
Un
altro aspetto che affascina gli artisti moderni e che li avvicina al
mondo infantile, è il “godimento afinalistico delle forme e dei
colori non ancora mediato da riferimenti delle caratteristiche reali
degli oggetti”.I bambini piccoli infatti non si preoccupano se i colori dei propri
disegni corrispondono o meno a quegli degli oggetti reali e, così,
proprio come i Fauvisti, ignorano i colori imitativi per dare spazio
a colori forti e sgargianti secondo una propria sensazione interiore.
Considerato che anche i grandi pittori, come
quelli sopra descritti, hanno abbandonato i loro metodi tradizionali
di fare arte per riappropriarsi di quella dimensione creativa e
fantastica tipica dell'età infantile e che, se non viene
salvaguardata tende a scomparire, si potrebbe sostenere che i disegni
infantili siano ritenuti arte. “Come
il bambino, così il vero artista popolare non si lascia influenzare
da alcun fatto che possa ostacolare o violare la sua idea, ma è
guidato da un solo desiderio: esprimere direttamente “l'aspirazione”
che domina il suo lavoro. […]
L'artista popolare si esprime quindi al di fuori di ogni abilità
tecnica [...]”.
Ciò che questi artisti moderni hanno in comune è un gran
rispetto per le creazioni infantili, di cui ciò che rispettano sono
soprattutto la loro purezza e semplicità: i bambini infatti
realizzano i loro disegni in modo originale, libero e spontaneo senza
seguire regole o modelli esterni, ma facendo appello alla loro
interiorità e ai loro sentimenti, pensieri ed emozioni, trasferendo
il tutto su un foglio di carta attraverso l'utilizzo di svariati
strumenti. I loro prodotti sono semplici, non raffinati e spesso
arricchiti con linee colorate e figure irregolari che rendono il
dipinto spontaneo, libero e innovativo che lascia trasparire uno
stato interiore della mente e dell'anima del bambino.
domenica 31 agosto 2014
Un ultimo artista che voglio riportare è Joan Mirò
La vita
Joan Mirò nacque a Barcellona il
20 aprile del 1893 e, dopo aver seguito gli studi per diventare
contabile, frequentò l'Accademia di Belle Arti in Spagna per
dedicarsi all'arte, sua prima passione dal momento che già all'età
di otto anni cominciò a disegnare. Dal 1912 al 1915 inoltre seguì
dei corsi alla scuola d'arte di Galí
(Barcellona) e, dopo la fine della guerra mondiale, nel marzo del
1920, si recò a Parigi per vivere lì, scegliendo di alternare nella
sua vita Francia (durante l'inverno) e Spagna (durante l'estate).
Nel. 1924 conobbe A. Bretone e aderì al Surrealismo. Nel 1932 si
stabilì a Barcellona dove resterà fino al 1936, quando allo
scoppiare della guerra civile, partirà per Parigi per poi ritornare
in Spagna solo alla fine del 1941. Mirò morirà il 25 dicembre del
1983 a Palma de Mallorca.
Il pensiero e le opere
Essendo massimo esponente del Surrealismo, il più surrealista di
tutti noi”come definito da Breton, il pensiero di J.Mirò non si discosta molto
dalla logica, sopra descritta, e di cui, questa corrente artistica,
si fa portavoce. L'artista infatti da sempre ha espresso il suo
rifiuto nel fare cose belle per riportare nei suoi quadri le forze
dell'inconscio in modo astratto e non sempre figurativo. Ne è un
esempio l'opera intitola “La scala dell'evasione” eseguita
nel 1940 che rientra in uno dei vari dipinti della serie
Costellazioni.
Guardando quest'opera si possono notare forme fantastiche e magiche
che non hanno nulla a che vedere con la realtà poiché nascono dalla
dimensione creativa intrisa nell'artista ed altre immagini più
realistiche ma comunque non reali come la figura femminile sulla
destra che, attonita, completa un cielo stellato. Da queste forme
magiche e fantastiche, si può pensare che la fantasia che Mirò
inserisce in questo dipinto si espanda fino a toccare i margini
dell'Astrattismo. Tuttavia l'artista non vuole affatto essere
definito e etichettato come “astrattista” e, a tal proposito,
egli afferma che:
“Come
i segni che io trascrivo sulla tela nel momento in cui essi
corrispondono a una rappresentazione concreta della mia mente non
fossero profondamente reali e non appartenessero al mondo della
realtà”.
Illustrazione 5: Joan
Mirò, La scala dell'evasione,
1940, New York.
L'opera viene realizzata con una tecnica pittorica automatica che solo gli esponenti del Surrealismo posso inventare ed utilizzare. Mirò, a tal proposito, scrive “ l'idea dello sfondo è stato il punto di partenza che mi ha suggerito tutto il resto. La cosa è successa così: a Parigi avevo comprato un album per pulire i pennelli e quando lo adoperai la prima volta rimasi sbalordito del risultato. Da quel momento, ogni volta che finivo una Costellazione pulivo i pennelli su una pagina nuova, e preparavo così lo sfondo per la seguente.”. L'artista dunque comincia a dipingere quest'opera la cui base era già stata preparata involontariamente in precedenza e il cui aspetto cromatico non è altro che il risultato della pulitura dei pennelli utilizzati per la realizzazione di un'opera precedente. Il colore di ogni Costellazione dunque si sovrappone a quella tonalità cromatica che già era presente nel foglio.
Un altro artista che si interessò ai disegni dei bambini è Paul Klee
La vita
Paul Klee nacque nel piccolo comune di
Münchenbuchsee presso Berna, il 18 dicembre 1879, ma la famiglia si
trasferì nella capitale svizzera qualche mese dopo. Figlio di un
professore di musica, (da cui prese la cittadinanza tedesca) e di una
cantante, Klee fu anche un eccellente violinista e amante soprattutto
della musica di Bach, Mozart, Beethoven e Wagner, che costituì
un'importante componente nella sua formazione e un costante interesse
per tutta la vita. Frequentò molto anche i teatri d'opera e di
prosa. Nel 1989 si recò a Monaco di Baviera per il suo apprendistato
artistico frequentando l'accademia delle Belle Arti. A Monaco, nel
1911, Klee conobbe ed entrò in contatto con diversi artisti tra cui
Auguste Macke, Franz Marc e Vasilij Kandinskij, con cui, diede vita
al gruppo di Der Blaue Reiter (il cavaliere azzurro).
Decisivo fu il suo viaggio in Tunisia nel 1914
dove l'artista, già eccellente disegnatore, scoprì il colore e se
ne impadronì tanto da prediligere, nelle sue opere, tonalità calde
tipiche di quest'area geografica che è l'Africa. A tal proposito
egli scrisse “Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di
afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso
dell'opera felice: io e il colore siamo tutt'uno: sono pittore”.
Nel 1920 venne chiamato dall'architetto Walter Gropius ad insegnare
pittura nella scuola di Bauhaus di Weimar in Germania diventando
professore. Klee si applicò alla didattica con entusiasmo, avendo la
possibilità di organizzare in maniera più sistematica l'aspetto
teorico del suo fare artistico.
L'esperienza si concluse nel 1931 e
successivamente assunse la docenza presso l'Accademia di Düsseldorf.
Nel 1933 Klee fu costretto dal regime nazista alle dimissioni
dall'Accademia di Düsseldorf, poiché il regime giudicava la sua
produzione, insieme a quella degli artisti a lui contemporanei e
vicini d'esperienza, come "arte degenerata".
Lasciò così
la Germania per trasferirsi nuovamente nella sua città natale, dove
continuò a dipingere, nonostante i gravissimi problemi di salute
dovuti ad una sclerodermia progressiva. Negli ultimi anni della sua
vita chiese la cittadinanza svizzera, che gli fu concessa solo
postuma. Morì nel 1940 nella cittadina di Muralto, vicino a Locarno.
Il pensiero e le opere
Come Kandinkij, anche Klee., aderisce al movimento
dell'astrattismo, ma a differenza del primo per il quale l'arte
astratta prescinde da forme riconoscibili, per Klee l'astrattismo non
è mai totalmente separato dalla realtà. Per lui l'arte astratta non
rappresenta qualcosa di opposto e alternativo alla realtà naturale e
non si realizza riportando sulla tela dipinti di oggetti e figure che
vengono trasformate in segni e linee non riconoscibili, ma è
possibile mantenere un legame con la natura poiché “l'arte è
l'immaginazione allegorica della creazione”.L'arte dunque per Klee si avvicina alla natura non perché la imiti,
ma perché riesce a riprodurre le intime leggi della creazione.
L'importanza per il disegno artistico infantile
viene anche da Klee che, più di tutti gli altri artisti, adotta nei
suoi dipinti lo stile grafico infantile: le sue composizioni infatti
sono popolate da una miriade di scarabocchi, figure filoformi e
creature con corpi triangolari o a clessidra. Non si tratta tuttavia
di copie di disegni infantili, bensì della raffigurazione di ciò
che profondamente coinvolge l'artista. Egli infatti si mise a
studiare i suoi disegni realizzati durante l'infanzia e quelli del
figlio Felix sperando così di ricreare nelle sue opere adulte lo
stato mentale del suo sé – bambino.
In particolare
nell'opera raffigurante “Adamo
e la piccola Eva”
del 1921, Klee recupera la dimensione infantile seguendo la propria
inclinazione rimanendo fedele al gruppo di Der
Blaue Reiter:
l'espressività dei bambini. Già nel 1912, infatti, Klee scriveva
“Nell'arte si può anche cominciare da capo, e ciò è evidente più
che altrove […]
a casa propria nella stanza riservata ai bambini […].
Anche i bambini conoscono l'arte e ci mettono molta saggezza!
[...]”.
Nella succitata opera, il soggetto è la nascita
di Eva da una costola di Adamo e, come si può vedere, Klee blocca la
maturazione di Eva che resta bambina : una bambinetta sbarazzina con
le treccine bionde. Adamo invece viene dipinto come un omone baffuto
con due grandi occhi spalancati somigliante a delle marionette che
tanto piacciono ai bambini.
Illustrazione 4: Paul Klee. Adamo e la piccola Eva,
1921, New York.
martedì 26 agosto 2014
Un altro artista molto affascinato dai disegni infantili è Vasilij Kandinskij, pittore che appartiene all'Astrattismo.
La vita
Vasilij
Kandiskij è un pittore russo che nacque a Mosca il 4 dicembre 1866
ed è grazie a lui che, nel 1910, nasce l'astrattismo. Proviene da
una famiglia agiata borghese e viene avviato agli studi di legge.
Dopo aver conseguito una laurea in Giurisprudenza nel 1892, gli venne
offerta una cattedra all'università che però rifiutò per dedicarsi
alla pittura. Infatti, già quando era studente universitario aveva
avuto modo di conoscere le opere degli impressionisti visitando la
loro esposizione a Mosca nel 1895 rimanendone molto colpito. Inoltre,
in questa fase della sua gioventù, si dedicò anche allo studio del
pianoforte e del violoncello. Il contatto con la musica si rivelerà
in seguito fondamentale per la sua evoluzione artistica come pittore.
La sua carriera lavorativa quindi si sviluppò all'interno del mondo
dell'arte tant'è che, una volta tornato in Russia dopo essersi
stabilito per un periodo a Monaco per intraprendere studi più
approfonditi sul campo dell'arte, prese parte all'organizzazione di
musei, creò l'Istituto per la cultura pittorica nel 1918 e fondò
l'Accademia di Scienze Artistiche nel 1920. Due anni dopo, nel 1922,
diventò professore al Bauhaus di Weimar, libera scuola d'arte e
mestieri in Germania creata nel 1919 da Walter Gropius, dove diresse
il laboratorio di pittura parietale. Nel 1933 il Bauhaus venne chiuso
dal regime nazista. L'anno successivo, per motivi politici,
Kandinskij abbandonò la Germania per la Francia. Qui morirà il 13
dicembre del 1944.
Il pensiero e le opere
Per comprendere il pensiero di questo autore,
vorrei partire da una sua citazione presente nel suo libro “Lo
spirituale nell'arte” (1911) e riportata nel libro “Itinerario
nell'arte”. Qui Kandinskij afferma che “in tutte le arti, specie
in quelle dei suoi tempi, è avvertibile una tendenza
all'antinaturalismo, all'astrazione e all'interiorità”. Egli inoltre aggiunge che “il più ricco insegnamento viene dalla
musica. Salvo poche eccezioni, la musica è già da alcuni secoli
l'arte che non usa i suoi mezzi per imitare i fenomeni naturali, ma
per esprimere la vita psichica dell'artista e creare la vita dei
suoni. Un artista che non abbia come fine ultimo l'imitazione, sia
pure artistica della natura, ma sia un creatore che voglia e debba
esprimere il suo mondo interiore vede con invidia che queste mete
sono state raggiunte naturalmente e facilmente dall'arte oggi più
immateriale, la musica. È comprensibile che si volga ad essa e tenti
di ritrovare le stesse potenzialità nella propria arte. Nasce di qui
l'attuale ricerca di un ritmo pittorico, di una costruzione
matematica astratta; nasce di qui il valore che si dà alla
ripetizione della tonalità cromatica, al dinamismo dei colori ecc.”
Il suo astrattismo dunque consiste nel riportare
nei propri capolavori immagini, forme e figure pure dominate dai
colori che creano nuovi linguaggi paragonabili a quello della musica
perché comunicano direttamente un'esperienza interiore non
razionale. Per Kandinskij infatti la pittura deve sempre più essere
simile alla musica e i colori sempre più similare ai suoni.
Nel primo caso ciò vuol dire che la pittura, come
la musica, deve essere pura espressione di esigenze interiori e non
imitare la natura. Essa dunque deve essere astratta, cioè non
figurativa e dove le forme non abbiano nulla a che fare con tutto ciò
che già si conosce. “Solo in questo modo afferma l'artista si può
dare vita alla spiritualità”.
Nel seconda caso vuol dire che i colori sono
paragonabili ai suoni degli strumenti musicali: come le melodie che
gli strumenti producono suscitano emozioni, allo stesso modo anche i
colori e i loro movimenti fluidi, toccano come dice Kandinskij “le
corde dell'interiorità” suscitando, nello spettatore diversi stati d'animo. Nella sua teoria
del colore Kandinskij infatti afferma che il colore può avere due
effetti sullo spettatore:
effetto
fisico, basato su sensazioni momentanee, determinato dalla
registrazione da parte della retina di un colore piuttosto che di un
altro. L'occhio dunque è affascinato dalla bellezza e dalle qualità
dei colori e l'osservatore, di fronte al colore, può provare un
senso di appagamento e gioia o di tristezza. Sono tutte sensazioni
fisiche, che in quanto tali durano poco. Sensazioni superficiali, che
non fanno molta impressione a chi è insensibile. “Proprio come, se
si tocca il ghiaccio, si prova solo una sensazione fisica di freddo,
che svanisce quando il dito si scalda, così, girato lo sguardo si
dimentica l'effetto fisico del colore. E proprio come la sensazione
fisica del freddo del ghiaccio, quando è profonda, suscita altre
profonde sensazioni e può provocare una intera serie di esperienze
psichiche, così anche l'impressione superficiale del colore può
diventare esperienza”.
effetto psichico attraverso cui il colore
raggiunge l'anima. Emerge allora la forza psichica del colore, che fa
emozionare l'anima. Poiché l'anima è strettamente legata al corpo,
è possibile che una emozione mentale ne susciti per associazione una
corrispondente. “Ad esempio il rosso, essendo il colore della
fiamma, potrebbe provocare un'emozione mentale simile alla fiamma. Il
rosso fiamma ha un effetto eccitante che può perfino provocare
sofferenza, forse perché assomiglia al sangue. In questo caso
risveglia il ricordo di un elemento fisico che indubbiamente fa
soffrire”.
Quindi, dopo aver collegato ciascun colore ad un
suono, ad un oggetto, profumo, emozione ecc..., questo, produrrà un
effetto particolare nell'anima del soggetto.
Kandinskj si occupa dei colori primari (giallo,
azzurro, rosso) e di quelli secondari (arancione, verde, viola) che
sono il frutto della mescolanza tra due primari.“La bellezza
quindi, assieme alla perfetta espressione del mondo interiore
dell'artista, viene raggiunta per il tramite dei colori e della sola
forma colorata senza connessione con alcun oggetto esistente”.
Un ulteriore dipinti di Matisse che rimanda ai disegni semplici dei bambini è "Signora in verde con garofano rosso".
In quest'opera si possono notare le semplificazioni delle forme, l'essenzialità cromatica, l'uso di linee contrastanti e di linee ritmiche ed ornamentali. È il caso dell'opera “Signora in verde col garofano rosso”, dove l'elemento base è il colore verde che appare non solo sullo sfondo, ma anche sul vestito della donna ritratta a mezzo busto.
In quest'opera si possono notare le semplificazioni delle forme, l'essenzialità cromatica, l'uso di linee contrastanti e di linee ritmiche ed ornamentali. È il caso dell'opera “Signora in verde col garofano rosso”, dove l'elemento base è il colore verde che appare non solo sullo sfondo, ma anche sul vestito della donna ritratta a mezzo busto.
La donna è ritratta in modo serio: dal
suo volto non trapela nessuna particolare espressione e i suoi occhi
non esprimono un'emozione precisa perché, ciò che conta per il
pittore non sono i sentimenti della persona rappresentata, ma
l'espressività che gli altri riescono a percepire guardando l'opera.
L'espressività del dipinto è data dall'intera impostazione del
quadro che è ridotta ad una semplice linea che fa da contorno alla
donna, dall'equilibrio e dal contrasto delle tinte.
Matisse dunque non ha voluto fare un
ritratto somigliante, ma ha costruito per mezzo dei colori una figura
affascinante capace di modificare il nostro stato d'animo.
“Egli infatti sostiene che siano le
immagini e la loro decorazione ad influenzare la nostra vita poiché
suscitano in noi delle sensazioni e di conseguenza vanno a modificare
il nostro stato d'animo”.Per spiegare meglio questo concetto uso
l'esempio che Donatella Gobbi nel libro riposta nel suo libro “Henri
Matisse, l'uomo che parlava ai colori”.3 L'esempio prevede di
trovarsi davanti a due bustine di zucchero, come quelle del bar: una
di queste è decorata da tante coccinelle, l'altra invece è
completamente bianca. Ovviamente la bustina che verrà scelta sarà
quella con le coccinelle perché l'immagine richiama alla mente un
ricordo gradevole e positivo, pur sapendo bene che lo zucchero ha lo
stesso sapore in entrambe le bustine.
In sintesi la pittura colorata di
Matisse si accosta alla pittura infantile, entrambe infatti si
caratterizzano per una trasformazione del colore: come l'artista nei
suoi dipinti stravolge il colore, allo stesso modo fa anche il
bambino. Un bambino piccolo infatti tende a dipingere oggetti e
immagini reali che suscitano in lui una sensazione positiva con i
colori che più gli piacciono e, viceversa, immagini che generano
un'emozione negativa con i colori che per lui sono meno attraenti. Da
ciò si può capire quanto Matisse abbia studiato e fatto propria la
pittura infantile: proprio come un bambino egli non vuole riprodurre
ciò che vede, ma attuare una pittura creativa, spontanea, vivace e
colorata che, durante la sua lunga vita è riuscito a realizzare
perché ha imparato a vedere il mondo con gli occhi semplici e
sinceri dei bambini, che riescono a stupirsi e a provare gioia per
tutte le manifestazioni della vita.
Descrizione e analisi di alcuni quadri d'autore famosi
All'interno di questo paragrafo
descriverò il pensiero e la vita di alcuni pittori famosi
analizzando alcune loro opere per cercare analogie tra pittura
infantile e pittura dei grandi pittori famosi.
Inizierò a spiegare H. Matisse,
esponente delle corrente artistica del Fauvismo.
La vita
Henri Matisse nacque il 31 dicembre
1869 a Le Cateau-Cambrésis in Francia da una famiglia borghese.
Durante la sua giovinezza studiò nella
sua città natale e successivamente a Parigi dove seguì corsi di
giurisprudenza per il volere del padre.
Nel 1888, dopo aver ottenuto il
diploma, ritornò in Francia per lavorare in uno studio legale.
Un anno dopo, nel 1889, Matisse si
interessò alla pittura che inizialmente rappresentava per lui una
sorta di passatempo poiché, in quel periodo, fu costretto a stare a
letto a causa di una malattia che lo colpì. Con il passare degli
anni comprese che la pittura era la sua vocazione e il suo vero
talento, cominciò così a frequentare lezioni di disegno presso una
scuola privata di Parigi, l'Ecole des Beaux-Arts e presso l'atelier
di Gustave Moreau, ilmaggiore dei pittori simbolisti dell'epoca.
In quegli anni conobbe Albert Marquet,
André Derain e Maurice de Vlaminck, dalla loro amicizia nacque il
gruppo dei Fauves. La loro prima comparsa pubblica avvenne nel 1905
al Salon d’Automne.
Nel 1909 si trasferì in una grande
casa ad Issy-les-Molineaux e da lì poté recarsi in Nord Africa,
Spagna, Germania e Russia.
I viaggi, la produttività e la
serenità di Matisse furono interrotti dalla Prima Guerra Mondiale.
Durante quel periodo si dedicò anche alla scultura ed all’incisione.
Nel 1930 ricevette l’incarico di
decorare le pareti della Barnes Foundation (Philadelphia-USA) e più
avanti trascorse tre mesi a Tahiti.
Nel 1941 fu colpito da un tumore
all'intestino. Fu operato due volte, sfiorando la morte, e da allora
fu costretto a rimanere a letto per molte ore al giorno.
Morì il 3 novembre 1954 all'età di
ottantaquattro anni.
Il pensiero e le opere
Essendo Matisse il massimo esponente
del movimento Fauvista, la logica con cui egli dipinge le sue opere è
quella precedentemente descritta: il colore come strumento per
esprimere le emozioni. Egli tuttavia non ricorre ad una teoria del
colore, ma utilizza quest'ultimo in base alla sua sensibilità e
pertanto afferma che:”La mia scelta di colori non poggia su una
teoria scientifica; si basa sull'osservazione, sul sentimento, sulla
natura stessa di ogni esperienza ... Cerco semplicemente di trovare
un colore che si addica alle mie sensazioni”.1 La violenza delle
tinte è infatti il modo impiegato dall'artista per affermare se
stesso e la propria personalità. Ciò si può ben vedere nella sua
opera “Donna col Cappello” che fu esposta al Salon d'Automne del
1905.
Descritto come "una pentola di
colori rovesciata in faccia al pubblico" il quadro segna una
pietra miliare nell'uso simbolistico del colore: le pennellate verdi
sul volto della donna: sono colori decisamente anti-naturalistici, ma
che danno forza al volume del volto senza ricorrere a costruzioni
chiaroscurali.
L'opera è un ritratto della moglie
dell'artista, rappresentata mentre si volge verso lo spettatore. Gli
abiti alla moda e soprattutto il monumentale cappello, ornato da
frutti e fiori, offrono lo spunto per una composizione basata
sull'espressività del colore. I colori utilizzati sono quelli puri
(primari), ma anche quelli complementari, in particolare il giallo
unito al violetta, il rosso al verde e il blu all'arancione.
Con il tempo, la ricerca di Matisse si
indirizza verso l'ulteriore semplificazione delle forme,
l'essenzialità cromatica, l'uso di linee contrastanti e di linee
ritmiche ed ornamentali. È il caso dell'opera “Signora in verde
col garofano rosso”, dove l'elemento base è il colore verde che
appare non solo sullo sfondo, ma anche sul vestito della donna
ritratta a mezzo busto.
La donna è ritratta in modo serio: dal
suo volto non trapela nessuna particolare espressione e i suoi occhi
non esprimono un'emozione precisa perché, ciò che conta per il
pittore non sono i sentimenti della persona rappresentata, ma
l'espressività che gli altri riescono a percepire guardando l'opera.
L'espressività del dipinto è data dall'intera impostazione del
quadro che è ridotta ad una semplice linea che fa da contorno alla
donna, dall'equilibrio e dal contrasto delle tinte.
giovedì 14 agosto 2014
Il disegno nelle culture primitive
Per
comprendere il linguaggio dell'arte infantile che si manifesta sotto
forma di scarabocchio e disegno, bisogna ricercare le origini, cioè
le radici di questa attività simbolica. Questo
argomento relativo all'espressione artistica dei primati è stato
affrontato da Morris e
permette di vedere come nel primo periodo dello scarabocchio, il
bambino si comporta esattamente come altri primati. Anche agli
scimpanzé e ai gorilla piace infatti piace scarabocchiare e ciò è
stato dimostrato da Morris in un suo esperimento con un scimpanzé
maschio di nome Congo dell'età di un anno. Il suo esperimento si
basa sull'osservazione di Congo e notò un suo particolare interesse
per l'attività grafica che non era necessariamente collegata ad una
ricompensa di cibo. Morris definì
così l'attività grafica come una “azione autoremunitaria”,
in cui la produzione
dell'opera è già di per se una ricompensa.
Dunque,
“i primati che disegnano hanno in comune con il bambino il piacere
provocato dal rapporto tra atto motorio e fatto visivo, piacere che è
indipendente da qualsiasi tipo di ricompensa esterna”.
Le
radici di questa attività grafica, si possono riscontrare non solo
negli animali quali scimpanzé, ma anche nell'Homo Sapiens che,
attraverso dipinti e segni realizzati sui muri delle caverne, lascia
una propria testimonianza e narra gli avvenimenti del suo tempo. Si
afferma quindi “l'esistenza di un periodo iniziale prolungato,
grezzo e rudimentale, analogo ai primi anni dell'infanzia, in cui
predominano schemi semplici e cosiddetti
imperfetti, presunti indicatori dello stato mentale dell'uomo”.
I
dipinti
che predominano nelle caverne e che risalgono a 40.000 mila anni fa,
raffigurano grandi animali selvatici quali cavalli,
mammut, bisonti, rinoceronti, leoni, orsi, renne e stambecchi
che
vengono disegnati attraverso l'utilizzo di forme e modelli semplici
che definiscono globalmente l'animale rappresentato. Questa è una
prima analogia tra uomini primitivi e bambini poiché, anche
quest'ultimi, nei loro disegni ricorrono all'uso del modello che sta
al posto dell'intera immagini che vogliono
rappresentare. Inoltre
i primitivi, proprio come i bambini, disegnano
ciò che vedono senza operare deformazioni ma, limitandosi a
riprodurre un oggetto così come essi lo percepiscono. Proprio
per questo motivo i disegni dei bambini cosi come quegli degli uomini
primitivi, appaiono più originali e autentici in quanto, non
corrotti o contaminati da una visione distorta della realtà.
Una
considerazione del disegno infantile come percezione visiva è stata
manifestata da Rudolf Arnheim nella sua opera “Arte e percezione
visiva” e descritta nel libro di Golomb “L'arte dei bambini”.
Dire
che il disegno infantile è percezione visiva, significa dire che il
bambino, mentre disegna non copia o replica elementi della realtà
esterna, ma si inventa delle forme o segni come cechi, linee,
quadrati che siano equivalenti con l'oggetto e che quindi lo sappiano
rappresentare. Secondo Arnheim infatti “ gli artisti non aspirano a
una corrispondenza univoca tra elementi, né vogliono copiare una
scena […]
l'arte pittorica si basa sull'invenzione di forme equivalenti
all'oggetto che possono stare al suo posto”.
L'arte
quindi può essere considerata una abilità artistica che dipende
solo ed esclusivamente da fattori ambientali? Sulla
base di quanto appena
detto
si.
Essa infatti nasce fin dall'origine con i popoli primitivi e si è
sviluppata
poi di generazione in generazione partendo da forme più semplici
come linee o cerchi, per approdare poi a forme più complesse come
il disegno della figura umana.
Tuttavia
anche
i fattori innati sembrano essere di particolare
importanza per
lo sviluppo del disegno in età adulta.
Se
questa esperienza viene sollecitata fin dai primi anni di vita del
bambino,
gli viene
permesso
di affinare sempre di più la
sua
capacità espressiva; per
contro,non
favorendo lo sviluppo della creatività,
può accadere che il bambino, una volta diventato adulto, disegnando
realizzi figure corrispondenti agli stadi iniziali del disegno nel
bambino. Ciò è stato dimostrato
da uno studio relativo
ai
disegni di un gruppo di adulti cresciuti in ambienti rurali della
Turchia che non avevano fatto nessuna esperienza grafica
e con
scarsa
esposizione a figure ed immagini grafiche.
Questi disegni consistevano
nella realizzazione di figure umane e, le
quali vennero rappresentate
con molta ingenuità
e ricorrendo a impostazioni schematiche tipiche dei bambini nelle
loro prime fasi di sviluppo del disegno.
sabato 9 agosto 2014
2.Quando nasce la creatività nel bambino piccolo?
Il
disegno costituisce la principale forma creativa della prima infanzia
per cui, per comprendere come e
quando si
manifesta la creatività nel bambino piccolo è necessario affrontare
il tema riguardante l'evoluzione
del
disegno infantile. “Il
disegno infantile rappresenta un'evoluzione graduale attraverso fasi
distinte e successive, che non assumono tuttavia la forma di stadi
rigidi e prefissati. Ogni bambino può attraversare le singole fasi
in diversi momenti o mantenere forme di espressione primitive accanto
a forme più evolute”.
A)Stadi di sviluppo del disegno infantile
Il
più completo e insostituibile studio sul disegno infantile e, in
generale sull'arte, si deve a Georges-Henry Loquet che ha
ben
evidenziano le tappe evolutive del disegno infantile e le sua
interpretazione si basa soprattutto sul concetto di realismo del
disegno del bambino individuando quattro fasi:
- Realismo fortuito;
- Realismo mancato;
- Disegnare attraverso schemi;
- Realismo intellettuale.
Tuttavia,
Anna Oliveiro Ferraris nel suo libro “Il significato del disegno
infantile”, fa precedere
a queste quattro fasi una fase iniziale denominata fase dello
scarabocchio che
si manifesta nel bambino
tra
i 16 e 18 mesi.
A
questa età
il bambino comincia a maneggiare penne, matite pennarelli e a
tracciare da solo i primi segni su superfici diversificate.
Inizialmente
il bambino non sembra essere attratto dalla possibilità
rappresentativa del disegno, ma semplicemente dall'avere acquisito e
scoperto una nuova competenza, rappresentata dalla linea che
miracolosamente esce dalla punta del pastello. “Alla
origini l'attività grafica è essenzialmente un fatto organico: il
segno è la conseguenza del gesto che descrive la traiettoria su una
superficie capace di registralo”.
Lo scarabocchio è dunque all'inizio un evento cinetico che provoca
non solo piacere visivo ma anche e soprattutto motorio, “un
espressione dei movimenti della mano e del braccio sostenuti da
un'attività globale di tutto o parte del corpo in cui non
interviene altro fattore intellettivo se non l'intenzione di lasciare
una traccia”.
Accanto
a questi primi scarabocchi intesi come scarica di energia e definiti
da Bernson come “scarabocchi Vegetativo-Motori”,si
affianca il
secondo stadio
“Rappresentativo”
dello scarabocchio” di
Bernson
che compare attorno ai due/tre anni. A
questa età il bambino scarabocchia non più solo per il piacere
legato al movimento, ma per rappresentare sensazioni ed
avendo
maggior capacità di controllo del movimento della matita inizia, a
disegnare forme isolate mediate le quali esprime la sua dimensione
interiore. L'ultimo stadio è quello “Comunicativo-Sociale” che
compare dai tre anni in su in quanto il bambino ha il desiderio di
comunicare attraverso i suoi disegni.
In
sintesi Bernson sottolinea che” scarabocchiare equivale a
esprimersi o per meglio dire, a capire di potersi esprimere e che gli
scarabocchi, più visibilmente durevoli di tutte le altre
manifestazioni umane, siano esse il gesto o la parola, ci mettono in
contatto diretto con la nascita, la presa di coscienza, la formazione
dell'Io del bambino”.
In
opposizione a Bernson il quale afferma che nel primo stadio
Vegetativo-Motorio il bambino scarabocchia solo per un piacere legato
al movimento del braccio e della mano, Kellog formula l'ipotesi che
nel disegnare il bambino sia spinto soprattutto da un piacere visivo
più che motorio o comunicativo: ”l'interesse
visivo diventa una componente essenziale dell'attività grafica. Il
bambino non scarabocchia solo come forma di carica energetica e
motoria, ma per creare forme piacevoli”.
In questi primi segni definita scarabocchi, prevale nettamente la tendenza formale del cerchio. La
predominanza della forma circolare rispetto a quella rettilinea e ciò
viene spiegato in chiave psicologica con due principali
interpretazioni: la prima morfologica: secondo questa tesi la forma
circolare è semplicemente il risultato della specifica morfologia
del braccio umano, che si comporta, attraverso l'articolazione del
gomito, come un compasso che traccia forme circolari. La produzione
di linee rette risulta invece meno naturale e richiede una precisa
intenzione.
La seconda interpretazione è quella neurologica i cui studi sono
stati sviluppati soprattutto da Kello.
Egli afferma che la forma circolare che i bambini tendono
maggiormente a produrre nei loro primi segni grafici, è un
archetipo, ovvero un modello grafico collegato a schemi neuro
biologici innati che si è sviluppato nell'uomo come conseguenza
della predominanza della forma circolare nell'ambiente naturale. In
termini più semplici nel corso degli anni l'uomo si è sviluppato
confrontandosi soprattutto con forme circolari quali alberi, sole,
luna..che avrebbe poi interiorizzato come come forma ideale, cioè
come modello perfetto talmente radicato in lui da essere trasmesso
per via genetica.
Dopo
la fase iniziale degli scarabocchi, l'evoluzione del disegno
infantile si caratterizza per gli stadi di Loquet sopra citati che
sono:
- realismo fortuito (diciotto mesi/due anni e mezzo)
- realismo mancato (due anni e mezzo/cinque)
- disegnare attraverso schemi (dai cinque ai nove anni)
- realismo visivo (dai nove ai dodici anni).
Il
primo stadio
del realismo
fortuito
compare intorno ai diciotto
mesi/due anni e mezzo.
In
questa fase, il
bambino
scopre
le possibilità figurative del disegno, cioè che i segni tracciati
non sono solo un'esperienza cromatica, ma hanno anche un valore
rappresentativo. Per questo motivo il bambino cerca
di trovare delle
somiglianze tra il suo disegno e un oggetto del mondo esterno/reale.
Si tratta pertanto di una somiglianza casuale e involontaria che
porta il bambino a correggere il suo prodotto grafico in modo da
ottenere una rassomiglianza sempre più reale con l'oggetto del mondo
esterno. Questa
capacità di estrapolare che cosa il dipinto potrebbe rappresentare
in realtà,viene definita “intenzione rappresentativa”,
importante pietra miliare per lo sviluppo artistico. L'abilità di
astrarre dimostra che il bambino possiede un intelligenza
simbolizzante e cioè che ha la capacità di comprendere che i
simboli rappresentano l'oggetto e che non è l'oggetto in sé in
quanto simbolo e oggetto/referente sono cose distinte.
Il
secondo stadio
è quello
del realismo
mancato
che compare intorno
ai
due
anni
e
mezzo. A
questa età
i bambini iniziano a mostrare nei loro disegni una pianificazione e
un'intenzionalità rappresentativa a priori, con la tendenza a
preannunciare quello che intendono disegnare. Il bambino quindi,
mosso dalla sua intenzione rappresentativa inizia a disegnare ciò
che si era prefissato inizialmente ma, ad un certo punto capisce che
quello che sta disegnando nono coincide non la figura che voleva
effettivamente produrre. Questo capita perché
il
bambino
si pone obiettivi troppo elevati per le sua capacità incontrando
così difficoltà nell'esecuzione: tracciare contorni accurati,
trascurare particolari importanti, collocare i particolari nella
posizione sbagliata, non rispettare le proporzioni.
Questa fase viene appunta definita realismo mancato perché il
bambino manca il suo obiettivo iniziale riformulando
man mano le intenzione del suo disegno.
A
mano
a mano che il bambino cresce affina sempre di più le sue abilità
artistiche arrivando a disegnare figure e oggetti sempre più
complessi e attinenti al mondo reale dando importanza allo spazio e
introduce nei suoi dipinti l'uso della prospettiva.
Sulla
base dell'esperienza precedente il bambino, in questa fase successiva
del disegnare
attraverso schemi (4-6
anni), disegna le cose che ha imparato a fare meglio rafforzando cosi
il senso di sicurezza e autostima. Un oggetto tipico è la figura
umana inizialmente (dai tre
anni o prima) rappresentata in modo caratteristico ricorrendo a
schemi o modelli grafici come quello de “'L' omino testone”: cioè
disegna un cerchio che rappresenta la testa (ma in un certo senso
anche il suo corpo), con i particolare degli occhi e della bocca (a
volte anche naso, orecchie, capelli...) e cui sono attaccate
direttamente le braccia e le gambe spesso senza mani e piedi. La
scelta di rappresentare tutta la persona solo attraverso il viso e
non utilizzando altri parti del corpo se non le braccia e la gambe,
deriva secondo la psicologia, dalla peculiarità del viso rispetto al
corpo. Il viso risulta infatti uno stimolo plurisensoriale, ovvero la
parte
del corpo più significativa rispetto alle altre perché è da essa
che derivano molti stimoli per i sensi. Più esattamente:
- tatto: il viso grazie alla sua conformazione morfologica, coinvolge maggiormente il tatto rispetto alle altre parti del corpo più lisce e regolari. Il viso possiede infatti zone dritte come la fronte, ondulate come il mento, rigide morbide come le guance.
- udito: il viso è la parte del corpo che maggiormente coinvolge l'udito e la presenza della bocca.
- movimento: il viso è la parte del corpo èiù morbida perché in esso si manifesta la dimensione emotiva. Esso inoltre si caratterizza per un elevato numero di mucoli che continuamente si contraggono e decontraggono.
In sintesi la scelta del
bambino di rappresentare tutta la realtà solo attraverso poche sue
caratteristiche viene definita in psicologia “percezione sincretica
o globalistica” in cui solo un particolare o pochi, assume il
valore del tutto.
Nonostante questi schemi
siano ripetuti in modo in modo tendenzialmente uguale, sono comunque
sottoposti ad una evoluzione nel corso della crescita secondo due
particolari direttive:
- particolari: intorno ai 7 la figura umana si arricchisce e gambe e braccia sono rappresentate con un segno doppio e le proporzioni via via sempre più rispettate. Quindi kil modello non viene abbandonato ma semplicemente arricchito di nuovi particolari come conseguenza dell'incremento delle capacità cognitive del bambino e del miglioramento del processo di concettualizzazione.
- dimensione/sfondo: inizialmente i singoli schemi vengono rappresentati isolatamente nello stesso foglio e verso i 4-5 anni il bambino inizia a coordinali tra loro in modo da ottenere una rappresentazione unitaria, un'unica scena. Questo risultato viene raggiunto anche attraverso l'inserimento dello sfondo che chiude tutte le singole figure in un'unica rappresentazione. Il limite dello sfondo consiste però nel fatto che i vari elementi disegnati vengono rappresentati tutti quanti sempre rivolti verso il pubblico (bambino che disegna). Si parla in questo caso di una scena teatrale cioè di una prospettive che nella realtà non esiste.
La
quinta fase è quella del realismo
intellettuale
che compare tra i 6-8 anni ed avviene quando nel bambino aumenta la
componente cognitiva e comincia cosi a disegnare solo con la sua
mente rappresentando cioè la realtà pensata e non quella percepita.
In
questa
fase non
c'è alcun tentativo di rappresentazione spaziale corrispondente a
ciò che si vede. Inoltre il bambino, mentre disegna utilizza la
trasparenza, rappresenta cose che non sono visibili e molto spesso
tende a cambiare il suo punto di vista
(ad esempio quando il bambino disegea
una casa da davanti e il marciapiede visto dall'alto).
La
sesta ed ultima fase è quelle del
realismo visivo
che compare attorno agli 8 anni e nei suoi disegni il bambino cerca
di rispettare il più possibile la realtà (rappresentazione
fotografica), rappresenta le figure in situazioni dinamiche ovvero
nel corso di azioni o sequenze motorie, compare la prospettiva e
quindi una corretta rappresentazione delle proporzioni ed infine
arricchisce e decora i suoi disegni con numerosi elementi grafici che
non sono essenziali ma che migliorano e rendono più bello il
risultato finale.
Partendo
dalla scarabocchio quindi il bambino inizia a tracciare le sue prime
linee punti,
forme in modo spontaneo e originale
senza
alcun intento figurativo poiché il piacere deriva dal movimento del
braccio e nel vedere che
la matita lascia una traccia indelebile
nel
foglio. A mano a mano che cresce diventa però
consapevole del fatto che a questi
segni
può attribuirgli un valore e un significato da comunicare agli atri.
In questo modo il disegno diventa “parola” e il bambino comunica
attraverso di esso tutti i suoi pensieri e i suoi sogni che,
dovrebbero essere colti dall'adulto. Il
disegno quindi
con tutti i suoi segni e simboli, diventa potente mezzo
espressivo e,
può essere capito dall'adulto solamente se possiede una sufficiente
conoscenza di tali scarabocchi. Che
il simbolo o segno sia di fondamentale importanza per comprendere i
disegni dei bambini, viene espresso dalla
Head nella suo opera “Educare con l'arte” e
lo dimostra ricorrendo agli studi di P. Mountford in “Arte and
Society”. In questa opera viene descritto che anche le
tribù aborigene dell'Australia Centrale ricorrono
a simboli convenzionali per raffigurare degli oggetti, persone e
animali:
per
esempio il segno di una U dentro ad un'altra U viene utilizzato per
indicare un antenato umano e semi-umano, la spirale o circolo invece
vengono utilizzati per indicare
una
collina o gli animali.
Ciò
che interessa è dimostrare come questa attività artistica dei
selvaggi primitivi coincida con le prime attività artistiche dei
bambini moderni: è il caso di un bambino di tre anni che,
chiedendogli di disegnare un automobile, ricorre a delle linee
tracciate frettolosamente. Le linee sarebbero, per il bambino, le
impronte che la macchina lascia sulla strada quando corre. Quindi
egli associa all'oggetto macchina, il simbolo convenzionale delle
impronte, cosicché per lui la macchina non è altro che le impronte
che essa stessa produce.
Proprio
per questo motivo il bambino è un'artista creativo: egli infatti non
si limita a trasferire un'immagine reale in una forma grafica o
plastica ma, nel rappresentare oggetti che lui conosce (
come per esempio l'automobile) utilizza
forme sempre nuove originali che solo la sua dimensione creativa può
suggerirgli. Tutto
ciò comunque è dovuto dall'ingenuità, innocenza e purezza del
bambino in
quanto, a differenza dell'adulto, non è esposto e contaminato al
mondo esterno. Questo concetto può essere sintetizzato nel famoso
aforisma di Pablo Picasso “ Ogni bambino è un'artista, Il problema
è come rimanere un'artista quando si cresce”.
venerdì 18 luglio 2014
Il disegno infantile e l'arte
L'interesse dell'arte infantile da parte di questi artisti, nasce dal fatto che il loro obiettivo non consiste nella rappresentazione e raffigurazione della bellezza e della realtà, bensì la ricerca della verità. Per verità si intende l'origine, cioè la capacità, da parte dell'artista, di riscoprire e di ritornare al proprio mondo interiore e più profondo trasportandolo poi nei suoi dipinti facendo emergere emozioni e sentimenti in modo semplice e diretto come solo un bambino, privo di una visione artistica incontaminata, riesce a fare. Gli artisti quindi cercano un modo per esprimere questa visione della vita e si accorsero di non poterlo fare con gli strumenti espressivi tradizionali, adatti a riprodurre una realtà, ma inefficaci per dare visibilità all'interiorità. In questo contesto il disegno infantile diventa la chiave d'accesso al mondo interiore e quindi lo strumento necessario per esprimere il complesso mondo dell'artista. Si ricorre a questo linguaggio originale in quanto si credeva che bambini fossero dotati di una mente curiosa e di una ricca immaginazione che consente loro di percepire la realtà senza pregiudizi e condizionamenti e di esprimere i sentimenti con sincerità. Quindi “rivolgersi al linguaggio dell'arte infantile fu un tentativo di recuperare parte delle percezioni spontanee e innocenti del bambino e rivitalizzare lo spirito creativo dell'artista”. (Golomb, 2004, pagina 122).
Questa nuova modalità di espressione artistica che fa appello alle origini infantili, si può individuare in particolare nei lavori di W. Kandiskij, P. Klee. e di J. Mirò. Kandiskij considera l'arte infantile intrisa di significato spirituale in quanto il bambino, mentre dipinge, ignora la realtà esterna per approdare alla sua interiorità facendo emergere i propri stati d'animo. Quindi vede nell'arte infantile un linguaggio grafico universale e primitivo che permette all'artista di accedere alla sua coscienza spirituale interiore. È grazie all'astrattismo dunque che il linguaggio infantile viene riconosciuto, valorizzato e trova un suo accostamento con l'arte di grandi artisti. Kandiskij infatti nelle sue opere ed in particolare nel “Primo acquerello astratto” che realizza intorno ai primi anni del Novecento, precisamente nel 1910, utilizza segni e macchie colorate che dispone nel foglio con assoluta libertà senza far riferimento a regole tradizionali che abitualmente gli esperti d'arte utilizzano, rifacendosi così agli scarabocchi infantili.
Anche J. Mirò, pittore spagnolo, esplorò l'inconscio con segni ispirati agli scarabocchi dei bambini e ciò si può notare nella sua famosa opera “Il carnevale di Arlecchino” del 1924. Qui l'artista sfoga la sua libera fantasia lasciandosi trasportare dalle forze dell'inconscio e liberandosi dal controllo della mente. Si tratta di un'opera che l'artista realizza ricorrendo a segni, linee, forme più o meno riconoscibili , oggetti strani, giocattoli che fluttuano/galleggiano nel vuoto della tela all'interno di una pittura primitiva ed infantile.
Infine P. Klee è l'artista che, più di tutti gli altri, adotta nei suoi dipinti lo stile grafico infantile: le sue composizioni infatti sono popolate da una miriade di scarabocchi, figure filoformi e creature con corpi triangolari o a clessidra. Non si tratta pertanto di copie di disegni infantili, bensì la raffigurazione di ciò che profondamente coinvolge l'artista. Egli infatti si mise a studiare i suoi disegni realizzati durante l'infanzia e quelli del figlio Felix sperando così di ricreare nelle sue opere adulte lo stato mentale del suo sé - bambino.
Ciò che questi artisti hanno in comune è un gran rispetto per le creazioni infantili e, ciò che rispettano è soprattutto la loro purezza e semplicità: i bambini infatti realizzano i loro disegni in modo originale, libero e spontaneo senza seguire regole o modelli esterni, ma facendo appello alla loro interiorità e ai loro sentimenti, pensieri ed emozioni trasferendo il tutto su un foglio di carta attraverso l utilizzo di svariati strumenti. I loro prodotti sono semplici, non raffinati e spesso arricchiti con linee colorate e figure irregolari che rendono il dipinto spontaneo, libero e innovativo che lascia trasparire uno stato interiore della mente e dell'anima del bambino.
“per
fare il pittore bisogna sape vedere. Non è cosi semplice come può
sembrare: molto spesso ci limitiamo a guardare, mentre vedere è una
cosa molto più interessante. Per fare un esempio, andiamo in cucina.
Possiamo imbatterci in tre mele o in una testa d'aglio oppure in un
mucchietto di patate. A guardarle non dicono molto. Ma a ben vedere
ci sono tante cose da notare: proviamo a pensare di metterci nei
panni di un alieno o, meglio ancora, di un bambino piccolo. Nei panni
di chi non ha mai visto nulla. Bambini e artisti sono categorie molto
vicine: lo stupore di un bambino, che deve conoscere il mondo, è
molto simile allo stupore di un'artista che vuole conoscerlo o
smettere di ri-conoscerlo. Cosa significa: quando noi guardiamo una
mela sappiamo già di che si tratta. Un bambino piccolo non sa ancora
cos'è. Allora la annusa, la morde, la tocca, la inventa da capo
giocando come se fosse una piccola casa, abitata da chissà chi. Il
lavoro di un artista consiste nel liberarsi (con più o meno fatica)
da tutto quello che già conosce e riuscire a vedere lo stupore della
realtà” (Cézanne,
1989, p.1).
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