lunedì 8 settembre 2014

In sintesi, “avvicinando i bambini all'arte, essi ricevono una forte gratificazione perché scoprono che il loro mondo magico, come quello reale degli adulti, esiste effettivamente ed è rappresentato da qui personaggi importanti che sono gli artisti”.
La capacità di un bambino e che solo l'artista incontaminato dalla realtà può avere è quella di stupirsi di fronte a tutte le cose della vita e guardare tutto ciò che ci circonda cogliendo colori ed emozioni per poi trasmetterli in modo duraturo attraverso le proprie opere. A livello artistico dunque le emozioni vengono trasmesse attraverso quadri e disegni in cui sono raffigurate forme e linee semplici ma dai colori sgargianti che riproducono immagini reali, eventi o vicende vissute in tutta la loro semplicità.
Il modo di dipingere dei bambini, si  riscontra anche in alcuni pittori dell'epoca moderna che, “partendo dal realismo ottocentesco hanno poi attuato progressive semplificazioni e astrazioni alla loro pittura realistica svincolandosi sempre di più dalle regole artistiche e dalle convenzioni culturali, per arrivare a riconsiderare il mondo come appare nei prima anni di vita, quando ogni cosa è nuova e tutto genera stupore e meraviglia. “Insomma, l'artista si è man mano spogliato della propria cultura, abbandonando quelli che sono stati per secoli gli strumenti del suo mestiere, per raggiungere una semplicità che considera primordiale. Questa trasformazione artistica è ben espressa una celebre frase di Pablo Picasso il quale afferma che “Una volta disegnavo come Raffaello, ma mi ci è voluta una vita intera per disegnare come i bambini”.

venerdì 5 settembre 2014

  1. Organizzazione del Laboratorio

L'atelier di creatività è un ambiente presente all'interno della Nido, ubicato in un posto isolato e tranquillo dove il bambino può respirare un'aria e un clima di pace e serenità. Un' aspetto molto importante da non sottovalutare e da salvaguardare, è relativo alla sua organizzazione che riguarda tre aspetti fondamentali: sistemazione dello spazio, arredamento e i materiali.
Per quanto riguarda lo spazio, il laboratorio deve essere un ambiente abbastanza grande e luminoso in modo tale da permettere ai bambini di lavorare autonomamente senza intralciarsi o disturbarsi l'uno con l'altro. Perché ciò avvenga, è inoltre necessario che ogni materiale sia al suo posto e che venga riordinato ogni volta alla fine dell'attività. Solo in questo modo in momenti successivi, l'insegnante e gli alunni potranno trovare gli strumenti necessari all'attività con molta facilità È quindi necessario disporre di:
- un armadio con dei ripiani e non troppo alto in modo da rendere visibili gli strumenti che contiene. Ovviamente tutti gli strumenti che vengono maggiormente usati dai bambini devono essere riposati nei piani più bassi in modo tale che ciascuno sia autonomo nel prenderli. Ad esempio verranno messi le matite colorate, i pennarelli, fogli bianchi per disegnare.... Utile sarebbe anche utilizzare delle scatole per categorizzare il materiale con delle apposite etichette rendendo così tutto più ordinato e facile da trovare in caso di bisogno;
- lavagna appesa alla parete utilizzata per disegnare ed eventualmente annotare frasi che i bambini esprimono durante l'attività;
- alcune mensole necessarie per appoggiare oggetti come libri e giocattoli;
- tavoli sufficientemente grandi e a misura di bambino;
- sedie a misura di bambino;
- pannelli cioè fogli di compensato di betulla che possono servire per svolgere attività di pittura verticale;
- scatolone di cartone per riporre ulteriore materiale rendendo la stanza ordinata;
- tappeto di plastica morbida che potrà essere utile per fare una piccole mostra dei lavori dei bambini oppure utilizzato per sedersi in cerchio a discutere o per rilassarsi.
Quindi l'organizzazione del laboratorio deve essere rigorosa e chiara senza subire modificazione perché solo così consente al bambino di capire la funzione dei vari oggetti, e dello spazio stesso, e quindi ne facilita un suo corretto uso.
In sintesi l'idea chiave è che il laboratorio, per favorire processi creativi autonomi, deve essere organizzato in modo tale da rispondere ai tempi di ciascun bambino ed essere coerente con il progetto e le sue finalità presentando solo i materiali necessari per un suo corretto svolgimento. Solo in questo modo i bambini potranno stabilire un rapporto di sicurezza e di serenità nei confronti dello spazio ed un legame molto forte con l'insegnante che diventa dunque un riferimento nella loro vita e molto spesso l'unico a cui riescono, superando ogni inibizione, ad esprimere le loro emozioni e tensioni.


  1. Nascita di una nuova figura: l'atelierista

Con la nascita degli atelier, nasce anche una nuova figura professionale la cui competenza è l'arte. Essa viene definita atelierista , opera all'interno del laboratorio ed è spesso un artista di formazione che proviene dal liceo artistico.
Insieme ad educatori, insegnanti ed altre figure professionali, l'atelierista è chiamata a collaborare per la realizzazione del progetto educativo utilizzando strumenti e linguaggi dell'arte per l'attuazione di un metodo di apprendimento basato sulla ricerca, la pratica e la soggettività.
Non è quindi una figura isolata e staccata dal resto del nido, ma, lavora a specchio con l'insegnante, imparando l'una dall'altra e dai bambini stessi, dando vita a momenti di scambio reciproco, valorizzazione e arricchimento personale.
Esse cercano assieme le strade di una nuova didattica dove il linguaggio visivo viene intrecciato ad altri linguaggi costruendo mappe di conoscenza del bambino e dell'insegnante stessa. Propone ed offre materiali e tecniche artistiche che rendono attive le mani e la testa per sviluppare processi immaginativi, creativi ed espressivi che sono in relazione con i processi cognitivi considerando non tanto il risultato finale, cioè il prodotto che ogni bambino realizza, ma il processo di apprendimento e il percorso che ogni bambino mette in pratica per raggiungere il suo obiettivo.

Questi momenti creativi proposti dell' atelierista all'interno del laboratorio, vengono svolti sia a livello individuale che collettivo e ciò permette di capire come una della sue funzioni sia anche quella di promuovere un lavoro di gruppo che anziché separare, unisce i bambini all'interno di uno spazio relazionale in cui ciascuno apprendere insieme all'altro attraverso il “fare” e il “rifare”. L'atelierista inoltre deve affiancare i bambini durante lo svolgimento del laboratorio gestendo eventuali tensioni cognitive e relazionali che possono emergere e cogliere idee e interessi necessari per realizzare poi una nuova attività di gruppo. Il laboratorio infatti parte sempre dalle storie soggettive e dai vissuti personali di ciascuno, cosicché la prodzione-ricerca che si attua al suo interno, è sempre una ricerca autobiografica e tutti i lavori prodotti, divengono una testimonianza della propria identità. Infine, l'atelierista, deve porsi anche come punto di riferimento per i bambini dando loro sicurezza e tranquillità, ma allo stesso tempo deve stimolarli senza impedimenti o forzature attraverso tutte le sperimentazioni, tecniche ed espressive di cui essa dispone.
Invece il cento c'è

Il bambino
è fatto di cento.
Il bambino
ha cento lingue

cento mani
cento pensieri
cento modi di pensare
di giocare e di parlare
cento sempre cento
modi di ascoltare
di stupire di amare
cento allegrie
per cantare e capire
cento mondi
da scoprire
cento mondi
da inventare
cento mondi
da sognare.
Il bambino ha
cento lingue
(e poi cento cento cento)
ma gliene rubano novantanove.
La scuola e la cultura
gli separano la testa dal corpo.
Gli dicono:
di pensare senza mani
di fare senza testa
di ascoltare e di non parlare
di capire senza allegrie
di amare e di stupirsi
solo a Pasqua e a Natale.
Gli dicono:
di scoprire il mondo che già c'è
e di cento
gliene rubano novantanove.
Gli dicono:
che il gioco e il lavoro
la realtà e la fantasia
la scienza e l'immaginazione
il cielo e la terra
la ragione e il sogno
sono cose
che non stanno insieme.
gli dicono insomma
che il cento non c'è.
Il bambino dice:
invece il cento c'è.
Loris Malaguzzi

In questa sua poesia Malaguzzi esorta gli adulti a riconoscere e dar valore a tutte le diverse forme di espressione e di comunicazione che i bambini attuano, incluse quelle più difficili da comprendere. Quindi, nell'approccio reggiano, il verbo corretto da utilizzare è ascoltare; ascoltare il bambino che viene visto in modo attivo e non passivo e che significa non solo comprendere i diversi modi con cui il bambino comunica, ma anche dare senso e significato al messaggio e valore al soggetto che lo trasmette.
Come dice Carla Rinaldi: "se crediamo che i bambini sono attivi protagonisti nel processo di costruzione della conoscenza, allora il verbo più importante nella pratica educativa non è più parlare, ma ascoltare. Ascoltare significa essere aperto a quel che gli altri hanno da dire, ascoltare i cento o più linguaggi, con tutti i nostri sensi. Ascoltare significa essere aperti alle differenze e riconoscere il valore di diversi punti di vista e delle interpretazioni degli altri”.

  1. L'atelier: un laboratorio dove far crescere immaginazione, creatività e fantasia

Per dare al bambino la possibilità di esprimere la sua creatività, è necessario, predisporre di uno spazio adeguato in cui il bambino si sente libero e sicuro di sperimentare questa sua dimensione fantastica. Ecco perché l'importanza degli atelier o laboratori all'interno delle strutture educative.
Si tratta di laboratori dove il bambino può esprimere il suo linguaggio grafico, pittorico e visivo come strumento di conoscenza della realtà e di sé a livello interiore e più profondo.
Si superano così i tradizionali metodi di una scuola assistenziale centrata sulla “parola” per dare importanza al “fare” del bambino rendendo attive le mani, la testa e le emozioni e allo stesso tempo valorizzando l'espressività e la creatività di ciascuno. Il fare è azione concreta, è sporcarsi e , proprio per questo, valorizza il bambino come soggetto attivo con delle proprie capacità, competenze e abilità che può mettere in pratica all'interno dell'atelier, perché è qui che si fanno imprese ed esperimenti. Il laboratorio è pertanto quel luogo materiale in cui si respira il piacere del fare. A tal proposito Malaguzzi definisce i bambini come dei piccoli “costruttori, cioè bambini che non si possono considerare come recipienti o oggetti passivi di diverse influenze, capaci invece di costruire oggetti, fantasie, immagini, pensieri, conoscenze solo se si permette agli occhi, al linguaggio, alla mente di lavorare”.
L'Atelier diventa quindi il luogo della creatività, dell'invenzione e della fantasia che si esprimono attraverso i “100 linguaggi”, poiché i bambini non comunicano solo attraverso la parola, ma anche e soprattutto attraverso i loro disegni pieni di pensieri, parole, sentimenti, emozioni...che realizzano come se fossero dei piccoli artisti. Ciascuno infatti ha il diritto e la possibilità di esprimere in maniera personale e autonoma le proprie sensazioni, le gioie, le paure, le idee e le tensioni attraverso l'utilizzo di molteplici linguaggi rispettando le diverse identità, individualità, i sentimenti e le capacità di ciascuno.
Quindi è necessario costruire una situazione dove il bambino sperimenti e verifichi queste sue capacità artistiche nella più ampia serenità e tranquillità.
È infatti indispensabile, perché il processo espressivo possa mettersi in atto, che il bambino si senta capito e rispettato nei suoi sentimenti, nelle sue tensioni ed emozioni, nei suoi tempi di lavoro all'interno di un ambiente amico e accogliente, dove tutti esplorano e provano in una situazione di confronto senza paura dell'errore.
Importante è anche rendere visibile ciò che il bambino fa e quindi l'atelier realizza la documentazione visiva dei diversi lavori di ciascuno, attraverso distinti materiali quali registrazioni, fotografie, videocamera... al fine di rendere visibile l'immagine complessa del bambino e le sue grandi potenzialità. In questo modo si dà più importanza al processo rispetto al prodotto, ritenendo che il percorso sia la parte più interessante da analizzare perché è qui che si scopre la creatività.
L'atelier quindi è quel luogo in cui tutte le sensazioni, i vissuti, le paure, i timore, le idee, i sentimenti...possono trovare la loro massima espressione e dove la strutturazione dello spazio e dei materiali deve essere salvaguardata per favorire momenti di espressione autonoma e individuale.
In questo modo si creano le condizioni affinché ciascuno possa sperimentare con sicurezza e serenità segni, forme e colori trasferendo ad ogni singolo prodotto una parte del proprio vissuto personale.
Per concludere, si può affermare che l' atelier è lo spazio pensato e progettato per i cento linguaggi dei bambini. Queste forme di comunicazione possono svilupparsi ed essere condivise attraverso esperienze creative concrete sia a livello individuale che di gruppo, tenendo presente che Cento linguaggi è “ la ricchezza infinita delle potenzialità dei bambini, della loro capacità di stupirsi e di ricercare. Cento linguaggi è la pluralità degli sguardi e dei punti di vista”.



mercoledì 3 settembre 2014

Inoltre, ciò che accomuna bambini e artisti è la capacità nel vedere le cose e a stupirsi di fronte ad esse. Non tutti sanno “vedere”, molti solo “guardano”, ma lo stupore nasce solamente nel momento in cui si vede e non quando si guarda, poiché vedere è diverso da guardare, come ben spiega Paul Cézanne:
    per fare il pittore bisogna sape vedere. Non è così semplice come può sembrare: molto spesso ci limitiamo a guardare, mentre vedere è una cosa molto più interessante. Per fare un esempio, andiamo in cucina. Possiamo imbatterci in tre mele o in una testa d'aglio oppure in un mucchietto di patate. A guardarle non dicono molto. Ma a ben vedere ci sono tante cose da notare: proviamo a pensare di metterci nei panni di un alieno o, meglio ancora, di un bambino piccolo. Nei panni di chi non ha mai visto nulla. Bambini e artisti sono categorie molto vicine: lo stupore di un bambino, che deve conoscere il mondo, è molto simile allo stupore di un'artista che vuole conoscerlo o smettere di ri-conoscerlo. Cosa significa: quando noi guardiamo una mela sappiamo già di che si tratta. Un bambino piccolo non sa ancora cos'è. Allora la annusa, la morde, la tocca, la inventa da capo giocando come se fosse una piccola casa, abitata da chissà chi. Il lavoro di un artista consiste nel liberarsi (con più o meno fatica) da tutto quello che già conosce e riuscire a vedere lo stupore della realtà”.


Un altro aspetto che affascina gli artisti moderni e che li avvicina al mondo infantile, è il “godimento afinalistico delle forme e dei colori non ancora mediato da riferimenti delle caratteristiche reali degli oggetti”.I bambini piccoli infatti non si preoccupano se i colori dei propri disegni corrispondono o meno a quegli degli oggetti reali e, così, proprio come i Fauvisti, ignorano i colori imitativi per dare spazio a colori forti e sgargianti secondo una propria sensazione interiore.

Considerato che anche i grandi pittori, come quelli sopra descritti, hanno abbandonato i loro metodi tradizionali di fare arte per riappropriarsi di quella dimensione creativa e fantastica tipica dell'età infantile e che, se non viene salvaguardata tende a scomparire, si potrebbe sostenere che i disegni infantili siano ritenuti arte. “Come il bambino, così il vero artista popolare non si lascia influenzare da alcun fatto che possa ostacolare o violare la sua idea, ma è guidato da un solo desiderio: esprimere direttamente “l'aspirazione” che domina il suo lavoro. [] L'artista popolare si esprime quindi al di fuori di ogni abilità tecnica [...]”.
Ciò che questi artisti moderni hanno in comune è un gran rispetto per le creazioni infantili, di cui ciò che rispettano sono soprattutto la loro purezza e semplicità: i bambini infatti realizzano i loro disegni in modo originale, libero e spontaneo senza seguire regole o modelli esterni, ma facendo appello alla loro interiorità e ai loro sentimenti, pensieri ed emozioni, trasferendo il tutto su un foglio di carta attraverso l'utilizzo di svariati strumenti. I loro prodotti sono semplici, non raffinati e spesso arricchiti con linee colorate e figure irregolari che rendono il dipinto spontaneo, libero e innovativo che lascia trasparire uno stato interiore della mente e dell'anima del bambino.

domenica 31 agosto 2014

Un ultimo artista che voglio riportare è Joan Mirò

La vita
Joan Mirò nacque a Barcellona il 20 aprile del 1893 e, dopo aver seguito gli studi per diventare contabile, frequentò l'Accademia di Belle Arti in Spagna per dedicarsi all'arte, sua prima passione dal momento che già all'età di otto anni cominciò a disegnare. Dal 1912 al 1915 inoltre seguì dei corsi alla scuola d'arte di Galí (Barcellona) e, dopo la fine della guerra mondiale, nel marzo del 1920, si recò a Parigi per vivere lì, scegliendo di alternare nella sua vita Francia (durante l'inverno) e Spagna (durante l'estate). Nel. 1924 conobbe A. Bretone e aderì al Surrealismo. Nel 1932 si stabilì a Barcellona dove resterà fino al 1936, quando allo scoppiare della guerra civile, partirà per Parigi per poi ritornare in Spagna solo alla fine del 1941. Mirò morirà il 25 dicembre del 1983 a Palma de Mallorca.
Il pensiero e le opere
Essendo massimo esponente del Surrealismo, il più surrealista di tutti noi”come definito da Breton, il pensiero di J.Mirò non si discosta molto dalla logica, sopra descritta, e di cui, questa corrente artistica, si fa portavoce. L'artista infatti da sempre ha espresso il suo rifiuto nel fare cose belle per riportare nei suoi quadri le forze dell'inconscio in modo astratto e non sempre figurativo. Ne è un esempio l'opera intitola “La scala dell'evasione” eseguita nel 1940 che rientra in uno dei vari dipinti della serie Costellazioni.
Guardando quest'opera si possono notare forme fantastiche e magiche che non hanno nulla a che vedere con la realtà poiché nascono dalla dimensione creativa intrisa nell'artista ed altre immagini più realistiche ma comunque non reali come la figura femminile sulla destra che, attonita, completa un cielo stellato. Da queste forme magiche e fantastiche, si può pensare che la fantasia che Mirò inserisce in questo dipinto si espanda fino a toccare i margini dell'Astrattismo. Tuttavia l'artista non vuole affatto essere definito e etichettato come “astrattista” e, a tal proposito, egli afferma che:
“Come i segni che io trascrivo sulla tela nel momento in cui essi corrispondono a una rappresentazione concreta della mia mente non fossero profondamente reali e non appartenessero al mondo della realtà”.


Illustrazione 5: Joan Mirò, La scala dell'evasione, 1940, New York.

L'opera viene realizzata con una tecnica pittorica automatica che solo gli esponenti del Surrealismo posso inventare ed utilizzare. Mirò, a tal proposito, scrive “ l'idea dello sfondo è stato il punto di partenza che mi ha suggerito tutto il resto. La cosa è successa così: a Parigi avevo comprato un album per pulire i pennelli e quando lo adoperai la prima volta rimasi sbalordito del risultato. Da quel momento, ogni volta che finivo una Costellazione pulivo i pennelli su una pagina nuova, e preparavo così lo sfondo per la seguente.”. L'artista dunque comincia a dipingere quest'opera la cui base era già stata preparata involontariamente in precedenza e il cui aspetto cromatico non è altro che il risultato della pulitura dei pennelli utilizzati per la realizzazione di un'opera precedente. Il colore di ogni Costellazione dunque si sovrappone a quella tonalità cromatica che già era presente nel foglio.


Un altro artista che si interessò ai disegni dei bambini è Paul Klee

La vita
Paul Klee nacque nel piccolo comune di Münchenbuchsee presso Berna, il 18 dicembre 1879, ma la famiglia si trasferì nella capitale svizzera qualche mese dopo. Figlio di un professore di musica, (da cui prese la cittadinanza tedesca) e di una cantante, Klee fu anche un eccellente violinista e amante soprattutto della musica di Bach, Mozart, Beethoven e Wagner, che costituì un'importante componente nella sua formazione e un costante interesse per tutta la vita. Frequentò molto anche i teatri d'opera e di prosa. Nel 1989 si recò a Monaco di Baviera per il suo apprendistato artistico frequentando l'accademia delle Belle Arti. A Monaco, nel 1911, Klee conobbe ed entrò in contatto con diversi artisti tra cui Auguste Macke, Franz Marc e Vasilij Kandinskij, con cui, diede vita al gruppo di Der Blaue Reiter (il cavaliere azzurro).
Decisivo fu il suo viaggio in Tunisia nel 1914 dove l'artista, già eccellente disegnatore, scoprì il colore e se ne impadronì tanto da prediligere, nelle sue opere, tonalità calde tipiche di quest'area geografica che è l'Africa. A tal proposito egli scrisse “Il colore mi possiede. Non ho bisogno di tentare di afferrarlo. Mi possiede per sempre, lo sento. Questo è il senso dell'opera felice: io e il colore siamo tutt'uno: sono pittore”.
Nel 1920 venne chiamato dall'architetto Walter Gropius ad insegnare pittura nella scuola di Bauhaus di Weimar in Germania diventando professore. Klee si applicò alla didattica con entusiasmo, avendo la possibilità di organizzare in maniera più sistematica l'aspetto teorico del suo fare artistico.
L'esperienza si concluse nel 1931 e successivamente assunse la docenza presso l'Accademia di Düsseldorf. Nel 1933 Klee fu costretto dal regime nazista alle dimissioni dall'Accademia di Düsseldorf, poiché il regime giudicava la sua produzione, insieme a quella degli artisti a lui contemporanei e vicini d'esperienza, come "arte degenerata".
Lasciò così la Germania per trasferirsi nuovamente nella sua città natale, dove continuò a dipingere, nonostante i gravissimi problemi di salute dovuti ad una sclerodermia progressiva. Negli ultimi anni della sua vita chiese la cittadinanza svizzera, che gli fu concessa solo postuma. Morì nel 1940 nella cittadina di Muralto, vicino a Locarno.
Il pensiero e le opere
Come Kandinkij, anche Klee., aderisce al movimento dell'astrattismo, ma a differenza del primo per il quale l'arte astratta prescinde da forme riconoscibili, per Klee l'astrattismo non è mai totalmente separato dalla realtà. Per lui l'arte astratta non rappresenta qualcosa di opposto e alternativo alla realtà naturale e non si realizza riportando sulla tela dipinti di oggetti e figure che vengono trasformate in segni e linee non riconoscibili, ma è possibile mantenere un legame con la natura poiché “l'arte è l'immaginazione allegorica della creazione”.L'arte dunque per Klee si avvicina alla natura non perché la imiti, ma perché riesce a riprodurre le intime leggi della creazione.
L'importanza per il disegno artistico infantile viene anche da Klee che, più di tutti gli altri artisti, adotta nei suoi dipinti lo stile grafico infantile: le sue composizioni infatti sono popolate da una miriade di scarabocchi, figure filoformi e creature con corpi triangolari o a clessidra. Non si tratta tuttavia di copie di disegni infantili, bensì della raffigurazione di ciò che profondamente coinvolge l'artista. Egli infatti si mise a studiare i suoi disegni realizzati durante l'infanzia e quelli del figlio Felix sperando così di ricreare nelle sue opere adulte lo stato mentale del suo sé – bambino.
In particolare nell'opera raffigurante “Adamo e la piccola Eva” del 1921, Klee recupera la dimensione infantile seguendo la propria inclinazione rimanendo fedele al gruppo di Der Blaue Reiter: l'espressività dei bambini. Già nel 1912, infatti, Klee scriveva “Nell'arte si può anche cominciare da capo, e ciò è evidente più che altrove [] a casa propria nella stanza riservata ai bambini []. Anche i bambini conoscono l'arte e ci mettono molta saggezza! [...]”.
Nella succitata opera, il soggetto è la nascita di Eva da una costola di Adamo e, come si può vedere, Klee blocca la maturazione di Eva che resta bambina : una bambinetta sbarazzina con le treccine bionde. Adamo invece viene dipinto come un omone baffuto con due grandi occhi spalancati somigliante a delle marionette che tanto piacciono ai bambini.


Illustrazione 4: Paul Klee. Adamo e la piccola Eva, 1921, New York.


L’ambientazione dei personaggi avviene in un luogo in cui è presente un drappo raccolto come fosse una tenda o un sipario rafforzando così l’espressione del gioco infantile.


martedì 26 agosto 2014

Un altro artista molto affascinato dai disegni infantili è Vasilij Kandinskij, pittore che appartiene all'Astrattismo.

La vita
Vasilij Kandiskij è un pittore russo che nacque a Mosca il 4 dicembre 1866 ed è grazie a lui che, nel 1910, nasce l'astrattismo. Proviene da una famiglia agiata borghese e viene avviato agli studi di legge. Dopo aver conseguito una laurea in Giurisprudenza nel 1892, gli venne offerta una cattedra all'università che però rifiutò per dedicarsi alla pittura. Infatti, già quando era studente universitario aveva avuto modo di conoscere le opere degli impressionisti visitando la loro esposizione a Mosca nel 1895 rimanendone molto colpito. Inoltre, in questa fase della sua gioventù, si dedicò anche allo studio del pianoforte e del violoncello. Il contatto con la musica si rivelerà in seguito fondamentale per la sua evoluzione artistica come pittore. La sua carriera lavorativa quindi si sviluppò all'interno del mondo dell'arte tant'è che, una volta tornato in Russia dopo essersi stabilito per un periodo a Monaco per intraprendere studi più approfonditi sul campo dell'arte, prese parte all'organizzazione di musei, creò l'Istituto per la cultura pittorica nel 1918 e fondò l'Accademia di Scienze Artistiche nel 1920. Due anni dopo, nel 1922, diventò professore al Bauhaus di Weimar, libera scuola d'arte e mestieri in Germania creata nel 1919 da Walter Gropius, dove diresse il laboratorio di pittura parietale. Nel 1933 il Bauhaus venne chiuso dal regime nazista. L'anno successivo, per motivi politici, Kandinskij abbandonò la Germania per la Francia. Qui morirà il 13 dicembre del 1944.
Il pensiero e le opere
Per comprendere il pensiero di questo autore, vorrei partire da una sua citazione presente nel suo libro “Lo spirituale nell'arte” (1911) e riportata nel libro “Itinerario nell'arte”. Qui Kandinskij afferma che “in tutte le arti, specie in quelle dei suoi tempi, è avvertibile una tendenza all'antinaturalismo, all'astrazione e all'interiorità”. Egli inoltre aggiunge che “il più ricco insegnamento viene dalla musica. Salvo poche eccezioni, la musica è già da alcuni secoli l'arte che non usa i suoi mezzi per imitare i fenomeni naturali, ma per esprimere la vita psichica dell'artista e creare la vita dei suoni. Un artista che non abbia come fine ultimo l'imitazione, sia pure artistica della natura, ma sia un creatore che voglia e debba esprimere il suo mondo interiore vede con invidia che queste mete sono state raggiunte naturalmente e facilmente dall'arte oggi più immateriale, la musica. È comprensibile che si volga ad essa e tenti di ritrovare le stesse potenzialità nella propria arte. Nasce di qui l'attuale ricerca di un ritmo pittorico, di una costruzione matematica astratta; nasce di qui il valore che si dà alla ripetizione della tonalità cromatica, al dinamismo dei colori ecc.”
Il suo astrattismo dunque consiste nel riportare nei propri capolavori immagini, forme e figure pure dominate dai colori che creano nuovi linguaggi paragonabili a quello della musica perché comunicano direttamente un'esperienza interiore non razionale. Per Kandinskij infatti la pittura deve sempre più essere simile alla musica e i colori sempre più similare ai suoni.
Nel primo caso ciò vuol dire che la pittura, come la musica, deve essere pura espressione di esigenze interiori e non imitare la natura. Essa dunque deve essere astratta, cioè non figurativa e dove le forme non abbiano nulla a che fare con tutto ciò che già si conosce. “Solo in questo modo afferma l'artista si può dare vita alla spiritualità”.
Nel seconda caso vuol dire che i colori sono paragonabili ai suoni degli strumenti musicali: come le melodie che gli strumenti producono suscitano emozioni, allo stesso modo anche i colori e i loro movimenti fluidi, toccano come dice Kandinskij “le corde dell'interiorità” suscitando, nello spettatore diversi stati d'animo. Nella sua teoria del colore Kandinskij infatti afferma che il colore può avere due effetti sullo spettatore:
effetto fisico, basato su sensazioni momentanee, determinato dalla registrazione da parte della retina di un colore piuttosto che di un altro. L'occhio dunque è affascinato dalla bellezza e dalle qualità dei colori e l'osservatore, di fronte al colore, può provare un senso di appagamento e gioia o di tristezza. Sono tutte sensazioni fisiche, che in quanto tali durano poco. Sensazioni superficiali, che non fanno molta impressione a chi è insensibile. “Proprio come, se si tocca il ghiaccio, si prova solo una sensazione fisica di freddo, che svanisce quando il dito si scalda, così, girato lo sguardo si dimentica l'effetto fisico del colore. E proprio come la sensazione fisica del freddo del ghiaccio, quando è profonda, suscita altre profonde sensazioni e può provocare una intera serie di esperienze psichiche, così anche l'impressione superficiale del colore può diventare esperienza”.
effetto psichico attraverso cui il colore raggiunge l'anima. Emerge allora la forza psichica del colore, che fa emozionare l'anima. Poiché l'anima è strettamente legata al corpo, è possibile che una emozione mentale ne susciti per associazione una corrispondente. “Ad esempio il rosso, essendo il colore della fiamma, potrebbe provocare un'emozione mentale simile alla fiamma. Il rosso fiamma ha un effetto eccitante che può perfino provocare sofferenza, forse perché assomiglia al sangue. In questo caso risveglia il ricordo di un elemento fisico che indubbiamente fa soffrire”.
Quindi, dopo aver collegato ciascun colore ad un suono, ad un oggetto, profumo, emozione ecc..., questo, produrrà un effetto particolare nell'anima del soggetto.
Kandinskj si occupa dei colori primari (giallo, azzurro, rosso) e di quelli secondari (arancione, verde, viola) che sono il frutto della mescolanza tra due primari.“La bellezza quindi, assieme alla perfetta espressione del mondo interiore dell'artista, viene raggiunta per il tramite dei colori e della sola forma colorata senza connessione con alcun oggetto esistente”.

Egli inoltre si interessa molto dei disegni dei bambini tanto da considerare l'arte infantile intrisa di significato spirituale in quanto il bambino, mentre dipinge, ignora la realtà esterna per approdare alla sua interiorità facendo emergere i propri stati d'animo. Quindi vede nell'arte infantile un linguaggio grafico universale e primitivo che permette all'artista di accedere alla sua coscienza spirituale interiore. È grazie all'astrattismo dunque che il linguaggio infantile viene riconosciuto, valorizzato e trova un suo accostamento con l'arte di grandi artisti. Kandinskij infatti nelle sue opere ed in particolare nel “Primo acquerello astratto” che realizza nel 1910, utilizza segni e macchie colorate difficili da individuare come forme note che dispone nel foglio con assoluta libertà senza far riferimento a regole tradizionali che abitualmente gli esperti d'arte utilizzano, rifacendosi così agli scarabocchi infantili.


Un ulteriore dipinti di Matisse che rimanda ai disegni semplici dei bambini è "Signora in verde con garofano rosso".



In quest'opera si possono notare le semplificazioni delle forme, l'essenzialità cromatica, l'uso di linee contrastanti e di linee ritmiche ed ornamentali. È il caso dell'opera “Signora in verde col garofano rosso”, dove l'elemento base è il colore verde che appare non solo sullo sfondo, ma anche sul vestito della donna ritratta a mezzo busto.
La donna è ritratta in modo serio: dal suo volto non trapela nessuna particolare espressione e i suoi occhi non esprimono un'emozione precisa perché, ciò che conta per il pittore non sono i sentimenti della persona rappresentata, ma l'espressività che gli altri riescono a percepire guardando l'opera. L'espressività del dipinto è data dall'intera impostazione del quadro che è ridotta ad una semplice linea che fa da contorno alla donna, dall'equilibrio e dal contrasto delle tinte.

Matisse dunque non ha voluto fare un ritratto somigliante, ma ha costruito per mezzo dei colori una figura affascinante capace di modificare il nostro stato d'animo.
“Egli infatti sostiene che siano le immagini e la loro decorazione ad influenzare la nostra vita poiché suscitano in noi delle sensazioni e di conseguenza vanno a modificare il nostro stato d'animo”.Per spiegare meglio questo concetto uso l'esempio che Donatella Gobbi nel libro riposta nel suo libro “Henri Matisse, l'uomo che parlava ai colori”.3 L'esempio prevede di trovarsi davanti a due bustine di zucchero, come quelle del bar: una di queste è decorata da tante coccinelle, l'altra invece è completamente bianca. Ovviamente la bustina che verrà scelta sarà quella con le coccinelle perché l'immagine richiama alla mente un ricordo gradevole e positivo, pur sapendo bene che lo zucchero ha lo stesso sapore in entrambe le bustine.
In sintesi la pittura colorata di Matisse si accosta alla pittura infantile, entrambe infatti si caratterizzano per una trasformazione del colore: come l'artista nei suoi dipinti stravolge il colore, allo stesso modo fa anche il bambino. Un bambino piccolo infatti tende a dipingere oggetti e immagini reali che suscitano in lui una sensazione positiva con i colori che più gli piacciono e, viceversa, immagini che generano un'emozione negativa con i colori che per lui sono meno attraenti. Da ciò si può capire quanto Matisse abbia studiato e fatto propria la pittura infantile: proprio come un bambino egli non vuole riprodurre ciò che vede, ma attuare una pittura creativa, spontanea, vivace e colorata che, durante la sua lunga vita è riuscito a realizzare perché ha imparato a vedere il mondo con gli occhi semplici e sinceri dei bambini, che riescono a stupirsi e a provare gioia per tutte le manifestazioni della vita.


Descrizione e analisi di alcuni quadri d'autore famosi

All'interno di questo paragrafo descriverò il pensiero e la vita di alcuni pittori famosi analizzando alcune loro opere per cercare analogie tra pittura infantile e pittura dei grandi pittori famosi.
Inizierò a spiegare H. Matisse, esponente delle corrente artistica del Fauvismo.

La vita

Henri Matisse nacque il 31 dicembre 1869 a Le Cateau-Cambrésis in Francia da una famiglia borghese.
Durante la sua giovinezza studiò nella sua città natale e successivamente a Parigi dove seguì corsi di giurisprudenza per il volere del padre.
Nel 1888, dopo aver ottenuto il diploma, ritornò in Francia per lavorare in uno studio legale.
Un anno dopo, nel 1889, Matisse si interessò alla pittura che inizialmente rappresentava per lui una sorta di passatempo poiché, in quel periodo, fu costretto a stare a letto a causa di una malattia che lo colpì. Con il passare degli anni comprese che la pittura era la sua vocazione e il suo vero talento, cominciò così a frequentare lezioni di disegno presso una scuola privata di Parigi, l'Ecole des Beaux-Arts e presso l'atelier di Gustave Moreau, ilmaggiore dei pittori simbolisti dell'epoca.
In quegli anni conobbe Albert Marquet, André Derain e Maurice de Vlaminck, dalla loro amicizia nacque il gruppo dei Fauves. La loro prima comparsa pubblica avvenne nel 1905 al Salon d’Automne.
Nel 1909 si trasferì in una grande casa ad Issy-les-Molineaux e da lì poté recarsi in Nord Africa, Spagna, Germania e Russia.
I viaggi, la produttività e la serenità di Matisse furono interrotti dalla Prima Guerra Mondiale. Durante quel periodo si dedicò anche alla scultura ed all’incisione.
Nel 1930 ricevette l’incarico di decorare le pareti della Barnes Foundation (Philadelphia-USA) e più avanti trascorse tre mesi a Tahiti.
Nel 1941 fu colpito da un tumore all'intestino. Fu operato due volte, sfiorando la morte, e da allora fu costretto a rimanere a letto per molte ore al giorno.
Morì il 3 novembre 1954 all'età di ottantaquattro anni.


Il pensiero e le opere

Essendo Matisse il massimo esponente del movimento Fauvista, la logica con cui egli dipinge le sue opere è quella precedentemente descritta: il colore come strumento per esprimere le emozioni. Egli tuttavia non ricorre ad una teoria del colore, ma utilizza quest'ultimo in base alla sua sensibilità e pertanto afferma che:”La mia scelta di colori non poggia su una teoria scientifica; si basa sull'osservazione, sul sentimento, sulla natura stessa di ogni esperienza ... Cerco semplicemente di trovare un colore che si addica alle mie sensazioni”.1 La violenza delle tinte è infatti il modo impiegato dall'artista per affermare se stesso e la propria personalità. Ciò si può ben vedere nella sua opera “Donna col Cappello” che fu esposta al Salon d'Automne del 1905.
Descritto come "una pentola di colori rovesciata in faccia al pubblico" il quadro segna una pietra miliare nell'uso simbolistico del colore: le pennellate verdi sul volto della donna: sono colori decisamente anti-naturalistici, ma che danno forza al volume del volto senza ricorrere a costruzioni chiaroscurali.

L'opera è un ritratto della moglie dell'artista, rappresentata mentre si volge verso lo spettatore. Gli abiti alla moda e soprattutto il monumentale cappello, ornato da frutti e fiori, offrono lo spunto per una composizione basata sull'espressività del colore. I colori utilizzati sono quelli puri (primari), ma anche quelli complementari, in particolare il giallo unito al violetta, il rosso al verde e il blu all'arancione.
Con il tempo, la ricerca di Matisse si indirizza verso l'ulteriore semplificazione delle forme, l'essenzialità cromatica, l'uso di linee contrastanti e di linee ritmiche ed ornamentali. È il caso dell'opera “Signora in verde col garofano rosso”, dove l'elemento base è il colore verde che appare non solo sullo sfondo, ma anche sul vestito della donna ritratta a mezzo busto.
La donna è ritratta in modo serio: dal suo volto non trapela nessuna particolare espressione e i suoi occhi non esprimono un'emozione precisa perché, ciò che conta per il pittore non sono i sentimenti della persona rappresentata, ma l'espressività che gli altri riescono a percepire guardando l'opera. L'espressività del dipinto è data dall'intera impostazione del quadro che è ridotta ad una semplice linea che fa da contorno alla donna, dall'equilibrio e dal contrasto delle tinte.

















giovedì 14 agosto 2014

Il disegno nelle culture primitive

Per comprendere il linguaggio dell'arte infantile che si manifesta sotto forma di scarabocchio e disegno, bisogna ricercare le origini, cioè le radici di questa attività simbolica. Questo argomento relativo all'espressione artistica dei primati è stato affrontato da Morris e permette di vedere come nel primo periodo dello scarabocchio, il bambino si comporta esattamente come altri primati. Anche agli scimpanzé e ai gorilla piace infatti piace scarabocchiare e ciò è stato dimostrato da Morris in un suo esperimento con un scimpanzé maschio di nome Congo dell'età di un anno. Il suo esperimento si basa sull'osservazione di Congo e notò un suo particolare interesse per l'attività grafica che non era necessariamente collegata ad una ricompensa di cibo. Morris definì così l'attività grafica come una “azione autoremunitaria”, in cui la produzione dell'opera è già di per se una ricompensa.
Dunque, “i primati che disegnano hanno in comune con il bambino il piacere provocato dal rapporto tra atto motorio e fatto visivo, piacere che è indipendente da qualsiasi tipo di ricompensa esterna”.
Le radici di questa attività grafica, si possono riscontrare non solo negli animali quali scimpanzé, ma anche nell'Homo Sapiens che, attraverso dipinti e segni realizzati sui muri delle caverne, lascia una propria testimonianza e narra gli avvenimenti del suo tempo. Si afferma quindi “l'esistenza di un periodo iniziale prolungato, grezzo e rudimentale, analogo ai primi anni dell'infanzia, in cui predominano schemi semplici e cosiddetti imperfetti, presunti indicatori dello stato mentale dell'uomo”.
I dipinti che predominano nelle caverne e che risalgono a 40.000 mila anni fa, raffigurano grandi animali selvatici quali cavalli, mammut, bisonti, rinoceronti, leoni, orsi, renne e stambecchi che vengono disegnati attraverso l'utilizzo di forme e modelli semplici che definiscono globalmente l'animale rappresentato. Questa è una prima analogia tra uomini primitivi e bambini poiché, anche quest'ultimi, nei loro disegni ricorrono all'uso del modello che sta al posto dell'intera immagini che vogliono rappresentare. Inoltre i primitivi, proprio come i bambini, disegnano ciò che vedono senza operare deformazioni ma, limitandosi a riprodurre un oggetto così come essi lo percepiscono. Proprio per questo motivo i disegni dei bambini cosi come quegli degli uomini primitivi, appaiono più originali e autentici in quanto, non corrotti o contaminati da una visione distorta della realtà.
Una considerazione del disegno infantile come percezione visiva è stata manifestata da Rudolf Arnheim nella sua opera “Arte e percezione visiva” e descritta nel libro di Golomb “L'arte dei bambini”. Dire che il disegno infantile è percezione visiva, significa dire che il bambino, mentre disegna non copia o replica elementi della realtà esterna, ma si inventa delle forme o segni come cechi, linee, quadrati che siano equivalenti con l'oggetto e che quindi lo sappiano rappresentare. Secondo Arnheim infatti “ gli artisti non aspirano a una corrispondenza univoca tra elementi, né vogliono copiare una scena [] l'arte pittorica si basa sull'invenzione di forme equivalenti all'oggetto che possono stare al suo posto”.
L'arte quindi può essere considerata una abilità artistica che dipende solo ed esclusivamente da fattori ambientali? Sulla base di quanto appena detto si. Essa infatti nasce fin dall'origine con i popoli primitivi e si è sviluppata poi di generazione in generazione partendo da forme più semplici come linee o cerchi, per approdare poi a forme più complesse come il disegno della figura umana. Tuttavia anche i fattori innati sembrano essere di particolare importanza per lo sviluppo del disegno in età adulta. Se questa esperienza viene sollecitata fin dai primi anni di vita del bambino, gli viene permesso di affinare sempre di più la sua capacità espressiva; per contro,non favorendo lo sviluppo della creatività, può accadere che il bambino, una volta diventato adulto, disegnando realizzi figure corrispondenti agli stadi iniziali del disegno nel bambino. Ciò è stato dimostrato da uno studio relativo ai disegni di un gruppo di adulti cresciuti in ambienti rurali della Turchia che non avevano fatto nessuna esperienza grafica e con scarsa esposizione a figure ed immagini grafiche. Questi disegni consistevano nella realizzazione di figure umane e, le quali vennero rappresentate con molta ingenuità e ricorrendo a impostazioni schematiche tipiche dei bambini nelle loro prime fasi di sviluppo del disegno.

sabato 9 agosto 2014

 2.Quando nasce la creatività nel bambino piccolo?

Il disegno costituisce la principale forma creativa della prima infanzia per cui, per comprendere come e quando si manifesta la creatività nel bambino piccolo è necessario affrontare il tema riguardante l'evoluzione del disegno infantile. “Il disegno infantile rappresenta un'evoluzione graduale attraverso fasi distinte e successive, che non assumono tuttavia la forma di stadi rigidi e prefissati. Ogni bambino può attraversare le singole fasi in diversi momenti o mantenere forme di espressione primitive accanto a forme più evolute”.

A)Stadi di sviluppo del disegno infantile

Il più completo e insostituibile studio sul disegno infantile e, in generale sull'arte, si deve a Georges-Henry Loquet che ha ben evidenziano le tappe evolutive del disegno infantile e le sua interpretazione si basa soprattutto sul concetto di realismo del disegno del bambino individuando quattro fasi:
  • Realismo fortuito;
  • Realismo mancato;
  • Disegnare attraverso schemi;
  • Realismo intellettuale.
Tuttavia, Anna Oliveiro Ferraris nel suo libro “Il significato del disegno infantile”, fa precedere a queste quattro fasi una fase iniziale denominata fase dello scarabocchio che si manifesta nel bambino tra i 16 e 18 mesi. A questa età il bambino comincia a maneggiare penne, matite pennarelli e a tracciare da solo i primi segni su superfici diversificate. Inizialmente il bambino non sembra essere attratto dalla possibilità rappresentativa del disegno, ma semplicemente dall'avere acquisito e scoperto una nuova competenza, rappresentata dalla linea che miracolosamente esce dalla punta del pastello. “Alla origini l'attività grafica è essenzialmente un fatto organico: il segno è la conseguenza del gesto che descrive la traiettoria su una superficie capace di registralo”. Lo scarabocchio è dunque all'inizio un evento cinetico che provoca non solo piacere visivo ma anche e soprattutto motorio, “un espressione dei movimenti della mano e del braccio sostenuti da un'attività globale di tutto o parte del corpo in cui non interviene altro fattore intellettivo se non l'intenzione di lasciare una traccia”. Accanto a questi primi scarabocchi intesi come scarica di energia e definiti da Bernson come “scarabocchi Vegetativo-Motori”,si affianca il secondo stadio “Rappresentativo” dello scarabocchio” di Bernson che compare attorno ai due/tre anni. A questa età il bambino scarabocchia non più solo per il piacere legato al movimento, ma per rappresentare sensazioni ed avendo maggior capacità di controllo del movimento della matita inizia, a disegnare forme isolate mediate le quali esprime la sua dimensione interiore. L'ultimo stadio è quello “Comunicativo-Sociale” che compare dai tre anni in su in quanto il bambino ha il desiderio di comunicare attraverso i suoi disegni.
In sintesi Bernson sottolinea che” scarabocchiare equivale a esprimersi o per meglio dire, a capire di potersi esprimere e che gli scarabocchi, più visibilmente durevoli di tutte le altre manifestazioni umane, siano esse il gesto o la parola, ci mettono in contatto diretto con la nascita, la presa di coscienza, la formazione dell'Io del bambino”.
In opposizione a Bernson il quale afferma che nel primo stadio Vegetativo-Motorio il bambino scarabocchia solo per un piacere legato al movimento del braccio e della mano, Kellog formula l'ipotesi che nel disegnare il bambino sia spinto soprattutto da un piacere visivo più che motorio o comunicativo: ”l'interesse visivo diventa una componente essenziale dell'attività grafica. Il bambino non scarabocchia solo come forma di carica energetica e motoria, ma per creare forme piacevoli”.

In questi primi segni definita scarabocchi,  prevale nettamente la tendenza formale del cerchio. La predominanza della forma circolare rispetto a quella rettilinea e ciò viene spiegato in chiave psicologica con due principali interpretazioni: la prima morfologica: secondo questa tesi la forma circolare è semplicemente il risultato della specifica morfologia del braccio umano, che si comporta, attraverso l'articolazione del gomito, come un compasso che traccia forme circolari. La produzione di linee rette risulta invece meno naturale e richiede una precisa intenzione. La seconda interpretazione è quella neurologica i cui studi sono stati sviluppati soprattutto da Kello. Egli afferma che la forma circolare che i bambini tendono maggiormente a produrre nei loro primi segni grafici, è un archetipo, ovvero un modello grafico collegato a schemi neuro biologici innati che si è sviluppato nell'uomo come conseguenza della predominanza della forma circolare nell'ambiente naturale. In termini più semplici nel corso degli anni l'uomo si è sviluppato confrontandosi soprattutto con forme circolari quali alberi, sole, luna..che avrebbe poi interiorizzato come come forma ideale, cioè come modello perfetto talmente radicato in lui da essere trasmesso per via genetica.

Dopo la fase iniziale degli scarabocchi, l'evoluzione del disegno infantile si caratterizza per gli stadi di Loquet sopra citati che sono:
  • realismo fortuito (diciotto mesi/due anni e mezzo)
  • realismo mancato (due anni e mezzo/cinque)
  • disegnare attraverso schemi (dai cinque ai nove anni)
  • realismo visivo (dai nove ai dodici anni).
Il primo stadio del realismo fortuito compare intorno ai diciotto mesi/due anni e mezzo. In questa fase, il bambino scopre le possibilità figurative del disegno, cioè che i segni tracciati non sono solo un'esperienza cromatica, ma hanno anche un valore rappresentativo. Per questo motivo il bambino cerca di trovare delle somiglianze tra il suo disegno e un oggetto del mondo esterno/reale. Si tratta pertanto di una somiglianza casuale e involontaria che porta il bambino a correggere il suo prodotto grafico in modo da ottenere una rassomiglianza sempre più reale con l'oggetto del mondo esterno. Questa capacità di estrapolare che cosa il dipinto potrebbe rappresentare in realtà,viene definita “intenzione rappresentativa”, importante pietra miliare per lo sviluppo artistico. L'abilità di astrarre dimostra che il bambino possiede un intelligenza simbolizzante e cioè che ha la capacità di comprendere che i simboli rappresentano l'oggetto e che non è l'oggetto in sé in quanto simbolo e oggetto/referente sono cose distinte.
Il secondo stadio è quello del realismo mancato che compare intorno ai due anni e mezzo. A questa età i bambini iniziano a mostrare nei loro disegni una pianificazione e un'intenzionalità rappresentativa a priori, con la tendenza a preannunciare quello che intendono disegnare. Il bambino quindi, mosso dalla sua intenzione rappresentativa inizia a disegnare ciò che si era prefissato inizialmente ma, ad un certo punto capisce che quello che sta disegnando nono coincide non la figura che voleva effettivamente produrre. Questo capita perché il bambino si pone obiettivi troppo elevati per le sua capacità incontrando così difficoltà nell'esecuzione: tracciare contorni accurati, trascurare particolari importanti, collocare i particolari nella posizione sbagliata, non rispettare le proporzioni. Questa fase viene appunta definita realismo mancato perché il bambino manca il suo obiettivo iniziale riformulando man mano le intenzione del suo disegno.
A mano a mano che il bambino cresce affina sempre di più le sue abilità artistiche arrivando a disegnare figure e oggetti sempre più complessi e attinenti al mondo reale dando importanza allo spazio e introduce nei suoi dipinti l'uso della prospettiva.
Sulla base dell'esperienza precedente il bambino, in questa fase successiva del disegnare attraverso schemi (4-6 anni), disegna le cose che ha imparato a fare meglio rafforzando cosi il senso di sicurezza e autostima. Un oggetto tipico è la figura umana inizialmente (dai tre anni o prima) rappresentata in modo caratteristico ricorrendo a schemi o modelli grafici come quello de “'L' omino testone”: cioè disegna un cerchio che rappresenta la testa (ma in un certo senso anche il suo corpo), con i particolare degli occhi e della bocca (a volte anche naso, orecchie, capelli...) e cui sono attaccate direttamente le braccia e le gambe spesso senza mani e piedi. La scelta di rappresentare tutta la persona solo attraverso il viso e non utilizzando altri parti del corpo se non le braccia e la gambe, deriva secondo la psicologia, dalla peculiarità del viso rispetto al corpo. Il viso risulta infatti uno stimolo plurisensoriale, ovvero la parte del corpo più significativa rispetto alle altre perché è da essa che derivano molti stimoli per i sensi. Più esattamente:
  • tatto: il viso grazie alla sua conformazione morfologica, coinvolge maggiormente il tatto rispetto alle altre parti del corpo più lisce e regolari. Il viso possiede infatti zone dritte come la fronte, ondulate come il mento, rigide morbide come le guance.
  • udito: il viso è la parte del corpo che maggiormente coinvolge l'udito e la presenza della bocca.
  • movimento: il viso è la parte del corpo èiù morbida perché in esso si manifesta la dimensione emotiva. Esso inoltre si caratterizza per un elevato numero di mucoli che continuamente si contraggono e decontraggono.
In sintesi la scelta del bambino di rappresentare tutta la realtà solo attraverso poche sue caratteristiche viene definita in psicologia “percezione sincretica o globalistica” in cui solo un particolare o pochi, assume il valore del tutto.
Nonostante questi schemi siano ripetuti in modo in modo tendenzialmente uguale, sono comunque sottoposti ad una evoluzione nel corso della crescita secondo due particolari direttive:
  • particolari: intorno ai 7 la figura umana si arricchisce e gambe e braccia sono rappresentate con un segno doppio e le proporzioni via via sempre più rispettate. Quindi kil modello non viene abbandonato ma semplicemente arricchito di nuovi particolari come conseguenza dell'incremento delle capacità cognitive del bambino e del miglioramento del processo di concettualizzazione.
  • dimensione/sfondo: inizialmente i singoli schemi vengono rappresentati isolatamente nello stesso foglio e verso i 4-5 anni il bambino inizia a coordinali tra loro in modo da ottenere una rappresentazione unitaria, un'unica scena. Questo risultato viene raggiunto anche attraverso l'inserimento dello sfondo che chiude tutte le singole figure in un'unica rappresentazione. Il limite dello sfondo consiste però nel fatto che i vari elementi disegnati vengono rappresentati tutti quanti sempre rivolti verso il pubblico (bambino che disegna). Si parla in questo caso di una scena teatrale cioè di una prospettive che nella realtà non esiste.
La quinta fase è quella del realismo intellettuale che compare tra i 6-8 anni ed avviene quando nel bambino aumenta la componente cognitiva e comincia cosi a disegnare solo con la sua mente rappresentando cioè la realtà pensata e non quella percepita. In questa fase non c'è alcun tentativo di rappresentazione spaziale corrispondente a ciò che si vede. Inoltre il bambino, mentre disegna utilizza la trasparenza, rappresenta cose che non sono visibili e molto spesso tende a cambiare il suo punto di vista (ad esempio quando il bambino disegea una casa da davanti e il marciapiede visto dall'alto).
La sesta ed ultima fase è quelle del realismo visivo che compare attorno agli 8 anni e nei suoi disegni il bambino cerca di rispettare il più possibile la realtà (rappresentazione fotografica), rappresenta le figure in situazioni dinamiche ovvero nel corso di azioni o sequenze motorie, compare la prospettiva e quindi una corretta rappresentazione delle proporzioni ed infine arricchisce e decora i suoi disegni con numerosi elementi grafici che non sono essenziali ma che migliorano e rendono più bello il risultato finale.
Partendo dalla scarabocchio quindi il bambino inizia a tracciare le sue prime linee punti, forme in modo spontaneo e originale senza alcun intento figurativo poiché il piacere deriva dal movimento del braccio e nel vedere che la matita lascia una traccia indelebile nel foglio. A mano a mano che cresce diventa però consapevole del fatto che a questi segni può attribuirgli un valore e un significato da comunicare agli atri. In questo modo il disegno diventa “parola” e il bambino comunica attraverso di esso tutti i suoi pensieri e i suoi sogni che, dovrebbero essere colti dall'adulto. Il disegno quindi con tutti i suoi segni e simboli, diventa potente mezzo espressivo e, può essere capito dall'adulto solamente se possiede una sufficiente conoscenza di tali scarabocchi. Che il simbolo o segno sia di fondamentale importanza per comprendere i disegni dei bambini, viene espresso dalla Head nella suo opera “Educare con l'arte” e lo dimostra ricorrendo agli studi di P. Mountford in “Arte and Society”. In questa opera viene descritto che anche le tribù aborigene dell'Australia Centrale ricorrono a simboli convenzionali per raffigurare degli oggetti, persone e animali: per esempio il segno di una U dentro ad un'altra U viene utilizzato per indicare un antenato umano e semi-umano, la spirale o circolo invece vengono utilizzati per indicare una collina o gli animali.
Ciò che interessa è dimostrare come questa attività artistica dei selvaggi primitivi coincida con le prime attività artistiche dei bambini moderni: è il caso di un bambino di tre anni che, chiedendogli di disegnare un automobile, ricorre a delle linee tracciate frettolosamente. Le linee sarebbero, per il bambino, le impronte che la macchina lascia sulla strada quando corre. Quindi egli associa all'oggetto macchina, il simbolo convenzionale delle impronte, cosicché per lui la macchina non è altro che le impronte che essa stessa produce.
Proprio per questo motivo il bambino è un'artista creativo: egli infatti non si limita a trasferire un'immagine reale in una forma grafica o plastica ma, nel rappresentare oggetti che lui conosce ( come per esempio l'automobile) utilizza forme sempre nuove originali che solo la sua dimensione creativa può suggerirgli. Tutto ciò comunque è dovuto dall'ingenuità, innocenza e purezza del bambino in quanto, a differenza dell'adulto, non è esposto e contaminato al mondo esterno. Questo concetto può essere sintetizzato nel famoso aforisma di Pablo Picasso “ Ogni bambino è un'artista, Il problema è come rimanere un'artista quando si cresce”.

venerdì 18 luglio 2014

  1. Il disegno infantile e l'arte

Può il disegno infantile essere considerato arte? Quello che fa rimanere stupiti e meravigliati è il fatto che molti pittori moderni abbiano preso spunto e abbiano veramente studiato quegli scarabocchi o quei segni che ancora alcuni definiscono semplicemente macchie di colore. Siamo verso la fine del diciannovesimo secolo quando alcuni artisti contemporanei tra cui W. Kandiskij, P. Klee e J. Mirò, iniziano ad esaminare realmente i disegni dei bambini, a studiare i disegni dei loro figli e i disegni che loro stessi avevano realizzato durante l'infanzia arrivando a capire il fascino dell'arte infantile soggetta a critiche da parte di molti artisti delle precedenti generazioni. A differenza degli artisti del passato che a volte riportavano/includevano nelle loro opere disegni infantili per esternarne i loro aspetti negativi, questi artisti contemporanei apprezzano l'estetica dell'arte infantile tanto da riportare nei loro capolavori segni e immagini molto simili a quelle che tendenzialmente produce un bambino.
L'interesse dell'arte infantile da parte di questi artisti, nasce dal fatto che il loro obiettivo non consiste nella rappresentazione e raffigurazione della bellezza e della realtà, bensì la ricerca della verità. Per verità si intende l'origine, cioè la capacità, da parte dell'artista, di riscoprire e di ritornare al proprio mondo interiore e più profondo trasportandolo poi nei suoi dipinti facendo emergere emozioni e sentimenti in modo semplice e diretto come solo un bambino, privo di una visione artistica incontaminata, riesce a fare. Gli artisti quindi cercano un modo per esprimere questa visione della vita e si accorsero di non poterlo fare con gli strumenti espressivi tradizionali, adatti a riprodurre una realtà, ma inefficaci per dare visibilità all'interiorità. In questo contesto il disegno infantile diventa la chiave d'accesso al mondo interiore e quindi lo strumento necessario per esprimere il complesso mondo dell'artista. Si ricorre a questo linguaggio originale in quanto si credeva che bambini fossero dotati di una mente curiosa e di una ricca immaginazione che consente loro di percepire la realtà senza pregiudizi e condizionamenti e di esprimere i sentimenti con sincerità. Quindi “rivolgersi al linguaggio dell'arte infantile fu un tentativo di recuperare parte delle percezioni spontanee e innocenti del bambino e rivitalizzare lo spirito creativo dell'artista”. (Golomb, 2004, pagina 122).
Questa nuova modalità di espressione artistica che fa appello alle origini infantili, si può individuare in particolare nei lavori di W. Kandiskij, P. Klee. e di J. Mirò. Kandiskij considera l'arte infantile intrisa di significato spirituale in quanto il bambino, mentre dipinge, ignora la realtà esterna per approdare alla sua interiorità facendo emergere i propri stati d'animo. Quindi vede nell'arte infantile un linguaggio grafico universale e primitivo che permette all'artista di accedere alla sua coscienza spirituale interiore. È grazie all'astrattismo dunque che il linguaggio infantile viene riconosciuto, valorizzato e trova un suo accostamento con l'arte di grandi artisti. Kandiskij infatti nelle sue opere ed in particolare nel “Primo acquerello astratto” che realizza intorno ai primi anni del Novecento, precisamente nel 1910, utilizza segni e macchie colorate che dispone nel foglio con assoluta libertà senza far riferimento a regole tradizionali che abitualmente gli esperti d'arte utilizzano, rifacendosi così agli scarabocchi infantili.
Anche J. Mirò, pittore spagnolo, esplorò l'inconscio con segni ispirati agli scarabocchi dei bambini e ciò si può notare nella sua famosa opera “Il carnevale di Arlecchino” del 1924. Qui l'artista sfoga la sua libera fantasia lasciandosi trasportare dalle forze dell'inconscio e liberandosi dal controllo della mente. Si tratta di un'opera che l'artista realizza ricorrendo a segni, linee, forme più o meno riconoscibili , oggetti strani, giocattoli che fluttuano/galleggiano nel vuoto della tela all'interno di una pittura primitiva ed infantile.
Infine P. Klee è l'artista che, più di tutti gli altri, adotta nei suoi dipinti lo stile grafico infantile: le sue composizioni infatti sono popolate da una miriade di scarabocchi, figure filoformi e creature con corpi triangolari o a clessidra. Non si tratta pertanto di copie di disegni infantili, bensì la raffigurazione di ciò che profondamente coinvolge l'artista. Egli infatti si mise a studiare i suoi disegni realizzati durante l'infanzia e quelli del figlio Felix sperando così di ricreare nelle sue opere adulte lo stato mentale del suo sé - bambino.
Ciò che questi artisti hanno in comune è un gran rispetto per le creazioni infantili e, ciò che rispettano è soprattutto la loro purezza e semplicità: i bambini infatti realizzano i loro disegni in modo originale, libero e spontaneo senza seguire regole o modelli esterni, ma facendo appello alla loro interiorità e ai loro sentimenti, pensieri ed emozioni trasferendo il tutto su un foglio di carta attraverso l utilizzo di svariati strumenti. I loro prodotti sono semplici, non raffinati e spesso arricchiti con linee colorate e figure irregolari che rendono il dipinto spontaneo, libero e innovativo che lascia trasparire uno stato interiore della mente e dell'anima del bambino.

In sintesi i disegni infantili possono essere considerati arte dal momento che anche i grandi attori, sopra citati, hanno abbandonato i loro metodi tradizionali di fare arte per riappropriarsi di quella dimensione creativa e artistica caratterizzata da libertà e spontaneità tipica dell'età infantile e che, se non viene salvaguardata tende a scomparire. A tal proposito Pablo Picasso afferma “Ogni bambino è un'artista. Il problema è come rimanere artisti quando si cresce”. Infine ciò che accomuna bambini e artista sta anche nella loro capacità nel vedere le cose e a stupirsi di fronte ad esse. Tuttavia lo stupore avviene solo nel momento in cui si vede e non quando si guarda, poiché vedere è diverso da guardare e ciò viene ben spiegato dalle parole di Paul Cézanne il quale afferma che:
“per fare il pittore bisogna sape vedere. Non è cosi semplice come può sembrare: molto spesso ci limitiamo a guardare, mentre vedere è una cosa molto più interessante. Per fare un esempio, andiamo in cucina. Possiamo imbatterci in tre mele o in una testa d'aglio oppure in un mucchietto di patate. A guardarle non dicono molto. Ma a ben vedere ci sono tante cose da notare: proviamo a pensare di metterci nei panni di un alieno o, meglio ancora, di un bambino piccolo. Nei panni di chi non ha mai visto nulla. Bambini e artisti sono categorie molto vicine: lo stupore di un bambino, che deve conoscere il mondo, è molto simile allo stupore di un'artista che vuole conoscerlo o smettere di ri-conoscerlo. Cosa significa: quando noi guardiamo una mela sappiamo già di che si tratta. Un bambino piccolo non sa ancora cos'è. Allora la annusa, la morde, la tocca, la inventa da capo giocando come se fosse una piccola casa, abitata da chissà chi. Il lavoro di un artista consiste nel liberarsi (con più o meno fatica) da tutto quello che già conosce e riuscire a vedere lo stupore della realtà” (Cézanne, 1989, p.1).



Ogni bambino è un'artista. Il problema è come rimanere artisti quando si cresce” (Pablo Picasso)