venerdì 5 settembre 2014

Invece il cento c'è

Il bambino
è fatto di cento.
Il bambino
ha cento lingue

cento mani
cento pensieri
cento modi di pensare
di giocare e di parlare
cento sempre cento
modi di ascoltare
di stupire di amare
cento allegrie
per cantare e capire
cento mondi
da scoprire
cento mondi
da inventare
cento mondi
da sognare.
Il bambino ha
cento lingue
(e poi cento cento cento)
ma gliene rubano novantanove.
La scuola e la cultura
gli separano la testa dal corpo.
Gli dicono:
di pensare senza mani
di fare senza testa
di ascoltare e di non parlare
di capire senza allegrie
di amare e di stupirsi
solo a Pasqua e a Natale.
Gli dicono:
di scoprire il mondo che già c'è
e di cento
gliene rubano novantanove.
Gli dicono:
che il gioco e il lavoro
la realtà e la fantasia
la scienza e l'immaginazione
il cielo e la terra
la ragione e il sogno
sono cose
che non stanno insieme.
gli dicono insomma
che il cento non c'è.
Il bambino dice:
invece il cento c'è.
Loris Malaguzzi

In questa sua poesia Malaguzzi esorta gli adulti a riconoscere e dar valore a tutte le diverse forme di espressione e di comunicazione che i bambini attuano, incluse quelle più difficili da comprendere. Quindi, nell'approccio reggiano, il verbo corretto da utilizzare è ascoltare; ascoltare il bambino che viene visto in modo attivo e non passivo e che significa non solo comprendere i diversi modi con cui il bambino comunica, ma anche dare senso e significato al messaggio e valore al soggetto che lo trasmette.
Come dice Carla Rinaldi: "se crediamo che i bambini sono attivi protagonisti nel processo di costruzione della conoscenza, allora il verbo più importante nella pratica educativa non è più parlare, ma ascoltare. Ascoltare significa essere aperto a quel che gli altri hanno da dire, ascoltare i cento o più linguaggi, con tutti i nostri sensi. Ascoltare significa essere aperti alle differenze e riconoscere il valore di diversi punti di vista e delle interpretazioni degli altri”.

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