venerdì 18 luglio 2014

  1. Il disegno infantile e l'arte

Può il disegno infantile essere considerato arte? Quello che fa rimanere stupiti e meravigliati è il fatto che molti pittori moderni abbiano preso spunto e abbiano veramente studiato quegli scarabocchi o quei segni che ancora alcuni definiscono semplicemente macchie di colore. Siamo verso la fine del diciannovesimo secolo quando alcuni artisti contemporanei tra cui W. Kandiskij, P. Klee e J. Mirò, iniziano ad esaminare realmente i disegni dei bambini, a studiare i disegni dei loro figli e i disegni che loro stessi avevano realizzato durante l'infanzia arrivando a capire il fascino dell'arte infantile soggetta a critiche da parte di molti artisti delle precedenti generazioni. A differenza degli artisti del passato che a volte riportavano/includevano nelle loro opere disegni infantili per esternarne i loro aspetti negativi, questi artisti contemporanei apprezzano l'estetica dell'arte infantile tanto da riportare nei loro capolavori segni e immagini molto simili a quelle che tendenzialmente produce un bambino.
L'interesse dell'arte infantile da parte di questi artisti, nasce dal fatto che il loro obiettivo non consiste nella rappresentazione e raffigurazione della bellezza e della realtà, bensì la ricerca della verità. Per verità si intende l'origine, cioè la capacità, da parte dell'artista, di riscoprire e di ritornare al proprio mondo interiore e più profondo trasportandolo poi nei suoi dipinti facendo emergere emozioni e sentimenti in modo semplice e diretto come solo un bambino, privo di una visione artistica incontaminata, riesce a fare. Gli artisti quindi cercano un modo per esprimere questa visione della vita e si accorsero di non poterlo fare con gli strumenti espressivi tradizionali, adatti a riprodurre una realtà, ma inefficaci per dare visibilità all'interiorità. In questo contesto il disegno infantile diventa la chiave d'accesso al mondo interiore e quindi lo strumento necessario per esprimere il complesso mondo dell'artista. Si ricorre a questo linguaggio originale in quanto si credeva che bambini fossero dotati di una mente curiosa e di una ricca immaginazione che consente loro di percepire la realtà senza pregiudizi e condizionamenti e di esprimere i sentimenti con sincerità. Quindi “rivolgersi al linguaggio dell'arte infantile fu un tentativo di recuperare parte delle percezioni spontanee e innocenti del bambino e rivitalizzare lo spirito creativo dell'artista”. (Golomb, 2004, pagina 122).
Questa nuova modalità di espressione artistica che fa appello alle origini infantili, si può individuare in particolare nei lavori di W. Kandiskij, P. Klee. e di J. Mirò. Kandiskij considera l'arte infantile intrisa di significato spirituale in quanto il bambino, mentre dipinge, ignora la realtà esterna per approdare alla sua interiorità facendo emergere i propri stati d'animo. Quindi vede nell'arte infantile un linguaggio grafico universale e primitivo che permette all'artista di accedere alla sua coscienza spirituale interiore. È grazie all'astrattismo dunque che il linguaggio infantile viene riconosciuto, valorizzato e trova un suo accostamento con l'arte di grandi artisti. Kandiskij infatti nelle sue opere ed in particolare nel “Primo acquerello astratto” che realizza intorno ai primi anni del Novecento, precisamente nel 1910, utilizza segni e macchie colorate che dispone nel foglio con assoluta libertà senza far riferimento a regole tradizionali che abitualmente gli esperti d'arte utilizzano, rifacendosi così agli scarabocchi infantili.
Anche J. Mirò, pittore spagnolo, esplorò l'inconscio con segni ispirati agli scarabocchi dei bambini e ciò si può notare nella sua famosa opera “Il carnevale di Arlecchino” del 1924. Qui l'artista sfoga la sua libera fantasia lasciandosi trasportare dalle forze dell'inconscio e liberandosi dal controllo della mente. Si tratta di un'opera che l'artista realizza ricorrendo a segni, linee, forme più o meno riconoscibili , oggetti strani, giocattoli che fluttuano/galleggiano nel vuoto della tela all'interno di una pittura primitiva ed infantile.
Infine P. Klee è l'artista che, più di tutti gli altri, adotta nei suoi dipinti lo stile grafico infantile: le sue composizioni infatti sono popolate da una miriade di scarabocchi, figure filoformi e creature con corpi triangolari o a clessidra. Non si tratta pertanto di copie di disegni infantili, bensì la raffigurazione di ciò che profondamente coinvolge l'artista. Egli infatti si mise a studiare i suoi disegni realizzati durante l'infanzia e quelli del figlio Felix sperando così di ricreare nelle sue opere adulte lo stato mentale del suo sé - bambino.
Ciò che questi artisti hanno in comune è un gran rispetto per le creazioni infantili e, ciò che rispettano è soprattutto la loro purezza e semplicità: i bambini infatti realizzano i loro disegni in modo originale, libero e spontaneo senza seguire regole o modelli esterni, ma facendo appello alla loro interiorità e ai loro sentimenti, pensieri ed emozioni trasferendo il tutto su un foglio di carta attraverso l utilizzo di svariati strumenti. I loro prodotti sono semplici, non raffinati e spesso arricchiti con linee colorate e figure irregolari che rendono il dipinto spontaneo, libero e innovativo che lascia trasparire uno stato interiore della mente e dell'anima del bambino.

In sintesi i disegni infantili possono essere considerati arte dal momento che anche i grandi attori, sopra citati, hanno abbandonato i loro metodi tradizionali di fare arte per riappropriarsi di quella dimensione creativa e artistica caratterizzata da libertà e spontaneità tipica dell'età infantile e che, se non viene salvaguardata tende a scomparire. A tal proposito Pablo Picasso afferma “Ogni bambino è un'artista. Il problema è come rimanere artisti quando si cresce”. Infine ciò che accomuna bambini e artista sta anche nella loro capacità nel vedere le cose e a stupirsi di fronte ad esse. Tuttavia lo stupore avviene solo nel momento in cui si vede e non quando si guarda, poiché vedere è diverso da guardare e ciò viene ben spiegato dalle parole di Paul Cézanne il quale afferma che:
“per fare il pittore bisogna sape vedere. Non è cosi semplice come può sembrare: molto spesso ci limitiamo a guardare, mentre vedere è una cosa molto più interessante. Per fare un esempio, andiamo in cucina. Possiamo imbatterci in tre mele o in una testa d'aglio oppure in un mucchietto di patate. A guardarle non dicono molto. Ma a ben vedere ci sono tante cose da notare: proviamo a pensare di metterci nei panni di un alieno o, meglio ancora, di un bambino piccolo. Nei panni di chi non ha mai visto nulla. Bambini e artisti sono categorie molto vicine: lo stupore di un bambino, che deve conoscere il mondo, è molto simile allo stupore di un'artista che vuole conoscerlo o smettere di ri-conoscerlo. Cosa significa: quando noi guardiamo una mela sappiamo già di che si tratta. Un bambino piccolo non sa ancora cos'è. Allora la annusa, la morde, la tocca, la inventa da capo giocando come se fosse una piccola casa, abitata da chissà chi. Il lavoro di un artista consiste nel liberarsi (con più o meno fatica) da tutto quello che già conosce e riuscire a vedere lo stupore della realtà” (Cézanne, 1989, p.1).



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